Crescita e decrescita demografica. Althusser legge Machiavelli

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Cosa dice Althusser di Machiavelli? Dice che Machiavelli scopre – pensa – la guerra totale. L’esercito non è un mezzo per raggiungere un fine – l’esercito è il fine. La guerra non è strumento della politica, né tanto meno (a giochi invertiti), la politica è strumento della guerra. Non c’è alcun rapporto strumentale – non c’è strumento. Dunque, non c’è nemmeno quel giochetto tentato da McLuhan tra significato e strumento.
Siamo sotto vento della fenomenologia (intenzionalità e zeug). Soprattutto siamo nel clima della guerra del Vietnam: non una guerra coloniale; non una guerra di occupazione, di interdizione, di posizione; non c’è ricerca di un lebensraum; non c’è ricerca di allargamento delle piste commerciali, del bacino di utenza, eccetera. Si potrebbe dire, rimacinando J. Barth (più che Clausewitz), che siamo alle prese con una Guerra d’esaurimento. Il pianeta delle lettere è stato ampiamente illustrato (conquistato), allora il compito della letteratura è esaurito. No. Non si tratta della fine della frontiera – la fine della frontiera americana, per esempio, o la fine della frontiera geografica. Si tratta del raggiungimento di un limite interiore – più la letteratura si allarga, più si restringe – si allarga in Joyce e si stringe in Beckett, si allarga in Proust e si stringe in Gadda. Barth utilizza (brucia) le scorte (le scorie attive) nel Coltivatore del Maryland, mentre i Rangers bruciano le scorte (e le scorie) sui coltivatori del Delta del Mekong.
L’esercito – la guerra – non è nemmeno un mezzo di propaganda o di controllo. Nessun controllo, nessuna trama, più anarchia e disordine, angoscia, confusione, paranoia, complotto, fuochi accessori, consumo indiretto, esternalità negative, trame multiple, dispersione inconcludente, come in Pynchon, eccetera.
L’esercito non è una forza, un blocco usato per tenere o contenere o interdire o favorire il consenso – forza di interdizione, di contrapposizione, forza cuscinetto, forza di pronto intervento, corpo speciale, eccetera.
L’esercito è esso stesso il consenso, agisce politicamente e socialmente sullo spirito dei soldati e del popolo – è un’istituzione che forma il consenso. L’ideologia appare nell’esercito stesso.
Machiavelli pensa l’Esercito Popolare. Una riorganizzazione dell’esercito che assicuri la supremazia della fanteria sulla cavalleria.
Il compito è fare dell’esercito la scuola dell’unità popolare. Fare dell’esercito una scuola – e, aggiungo io, della scuola un esercito – crogiolo dell’unità nazionale.
Si poteva pensare il rapporto dei mezzi ai fini come esteriorità: l’esercito poteva essere uno strumento tecnico neutro, le forze organizzate secondo le regole della Tecnica militare, per servire al potere come puro mezzo nella realizzazione dei suoi Fini.
Machiavelli ci getta in un mondo tutto diverso, dice Althusser. L’esercito esistente, le forme di impiego, di reclutamento e di organizzazione dell’esercito, tutte le tecniche militari esistenti, egli le rifiuta e condanna come politicamente incompatibili per raggiungere il suo obiettivo politico.
L’esercito non sarà più esterno al fine – La Nazione – poiché l’esercito sarà nazionale. La mobilitazione è totale.
Si tratta di quella stessa mobilitazione totale alla quale si fa riferimento quando si invocano Tasso di inattività, Tasso di sottoccupazione, Partecipazione alla forza lavoro, Tasso di occupazione, Tasso di partecipazione delle donne, Tasso di disoccupazione, Incremento degli asili nido, Tempo pieno, H24, Produttività e, perché no?, Investimenti.
A questo punto, dice Althusser, ci si potrebbe accontentare delle parole d’ordine Esercito nazionale. Esercito Nazionale perché è reclutato tra i sudditi del Principe! Ci si potrebbe accontentare di questa generalità, senza cercare ciò che, dice, chiamerei la forma specifica materiale di organizzazione che trasforma questo esercito formalmente nazionale in un esercito realmente nazionale. Se ci si ferma alla generalità, sussiste necessariamente un’esteriorità tra l’esercito e il fine politico. E invece bisogna assumere che la realizzazione dell’esercito è già in sé realizzazione del fine.
La mobilitazione totale è il fine – la conquista è interna, lo spazio vuoto da occupare – il lebensraum – è lo Spazio Interiore.
L’esercito – la fusione città-campagna, la supremazia della fanteria sulla cavalleria; questo esercito forma già il popolo, per il solo fatto di costituirsi, per effetto di ritorno, dice Althusser – per fare il popolo ci vuole l’esercito e per fare l’esercito ci vuole il popolo. Non feedback, ma effetto di anticipo, contrattempo. Nella storia questo inizio, questa ossessione dei filosofi dice Althusser, è risolta da Machiavelli con questo anticipo che spiazza il tempo.
L’esercito può essere il mezzo di una politica solo se è già la forma realizzata di questa politica. L’esercito non è la soluzione di un problema – è la soluzione stessa.
Queste note di Althusser sono scritte nel mezzo di una guerra che gli americani stanno ancora combattendo e che non è una guerra coloniale, non è una guerra di occupazione, di espansione territoriale. È una guerra con il tempo – guerra di contrattempi – prendere tempo al tempo, come in Mille e una notte, continuare la guerra affinché la guerra continui. Spendere per tornare a produrre per tornare a spendere, raccontare per continuare a raccontare – il paradigma della guerra come paradigma dell’esistenza, paradigma della differenza. Non c’è carneficina – c’è anche questo, certo!; non c’è trasformazione del soldato in carne da macello, pezzo da cannone; non c’è orrore e carneficina, orrore e carneficina che l’ideologia cinica di M.A.S.H., con le burle, le prese in giro dei pomposi rituali ufficiali, la presa di distanza – la differenza ironica – renderebbe accettabile, digeribile, civile, umana. Non c’è una guerra alla lettera, dunque impossibile, e una guerra tropica, dunque economica, energetica, differenziale, possibile.
Non c’è maggior orrore nella guerra di quanto ce ne sia in un ospedale – da campo o da campus; non c’è più orrore in una caserma di quanto ce ne sia in una scuola, in una fabbrica, in una mensa aziendale, in una linea metropolitana. Non c’è differenza tra una colonna di auto di turisti a Ventimiglia e una colonna di carri armati a Trieste. La mobilitazione è totale. L’esercito e la nazione sono la stessa cosa. Ogni istanza produce per consumare-distruggere e consuma-distrugge per produrre. La guerra è una istanza per consumare-distruggere – come ogni un’altra.
Siamo all’inizio degli anni Settanta; siamo all’epilogo della piena occupazione; siamo alla trasformazione del Welfare in Warfare. Qualcosa sta andando storto perché tutto sta andando bene.
Nel 1817, nei Principi, Ricardo scrive quanto segue: Se nel mio podere impiego 100 uomini e se trovo che la quantità di viveri impiegata per mantenere 50 dei miei uomini può essere spostata al mantenimento di cavalli e consentirmi un maggior rendimento in termini di prodotto grezzo, dedotto l’interesse del capitale impiegato nell’acquisto dei cavalli, mi converrebbe sostituire i cavalli agli uomini, e così farei; ma questo non conviene ai miei uomini e, a meno che il reddito che ne deriva fosse aumentato a tal punto da mettermi in grado di impiegare sia i cavalli che gli uomini, è evidente che la popolazione diverrebbe eccessiva.
Allora cosa si fa?
Si inventa la guerra. Un paese impiegato in una guerra, e che deve mantenere grandi flotte ed eserciti, dice Ricardo, impiega una quantità di uomini molto maggiore di quella che verrà impiegata alla fine della guerra quando le spese annuali che essa comporta verranno a cessare.
A una sovrapproduzione di forza-lavoro si rimedia con nuovi impieghi, nuovo consumo. La produzione di popolazione che non trova impiego remunerativo – un consumo produttivo – rompe la catena della valorizzazione. La guerra, dice Ricardo, genera una domanda supplementare di uomini come soldati e marinai.
C’è questo trade-off tra Nazione e Popolazione. Più la nazione si potenzia e funziona, più la popolazione si depotenzia; più la domanda di uomini diminuisce, più aumenta il bisogno supplementare di impieghi; aumentano gli impieghi supplementari e cresce l’esubero; crescita e decrescita si appartengono, si fanno la guerra, sono la guerra.

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