Gli ostacoli impliciti alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario

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Keynes, nonostante non abbia mai supportato la Rivoluzione sociale dei bolscevichi in Russia, con la sua curiosità scientifica, non seppe resistere a quel vento che soffiava dall’Est e nel 1925 scrisse un saggio su quella nuova esperienza politica, sociale ed economica, che stravolse il mondo. Lenin era scomparso da poco, ma il suo pensiero vegliava ancora sullo spirito della Rivoluzione, continuando a dare vigore alla carne, ossia alle lotte per dare corpo alla strategia rivoluzionaria, lotte cruente e violente, per affermare le ragioni, le emozioni e gli impulsi dei comunisti e dei socialisti, che venivano condotte non solo contro coloro, che dall’esterno miravano a destabilizzare il Governo dei Soviet, ma anche nei confronti di coloro che, dall’interno, ne minavano la credibilità, boicottando e sabotando il nuovo sistema di potere, perché non avevano aderito a quei principi oppure perché erano stati estromessi con la forza dalla guida del paese.
Per J.M. Keynes, il leninismo era la combinazione di due aspetti della vita, che gli europei avevano lasciato per secoli in differenti compartimenti: la religione e gli affari (il business).
Per la precisione si trattava di una “Nuova religione” e il suo porsi al di sopra del business, contrariamente a quello che accadeva in Occidente, creava scompiglio, ma anche un motivo per attaccare quella nuova formazione sociale come altamente inefficiente.
Il saggio è breve, ma è molto articolato, quindi è mia intenzione toccare quei punti che aiutano a dipanare i due abbagli che Marco Craviolatti attribuisce a Keynes, nella parte centrale del suo libro, dedicato alla questione della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
Keynes sympathises with those who seek for something good in Soviet Russia (1) ma non risparmia critiche severe a quella che lui chiama “fede comunista”, quando sostiene che non è possibile accettare una dottrina che si basa su un “testo obsoleto e privo di implicazioni scientifiche” e lo tratta come se fosse la sua bibbia.
Qui il riferimento, che non è esplicito, è diretto a Marx. Non lo chiama in causa direttamente, dato che supera in astuzia ed intelligenza Böhm-Bawerk e coloro che sono cresciuti all’ombra della scuola austriaca. Non perché Marx sia inattaccabile o sia scevro da contraddizioni, ma una volta che si cade nella sua rete, è difficile divincolarsi o districarsi, a meno che non si riesca a trovare il tempo e la motivazione, senza scorciatoie e schemi mentali prefissati.
Quando Keynes prende in esame la “Nuova religione”, può succedere che si lasci trasportare dagli affondi della lama avvelenata: «Non accetto un credo politico che preferisce il fango al pesce»; e poi si chiede: «Come può accadere che il grezzo (maleducato) proletariato (boorish proletariat) sia posto al di sopra della borghesia e dell’intellighenzia, le quali, pur avendo delle colpe, esprimono la qualità della vita e di sicuro portano il seme dell’avanzamento umano?». (2)
Da dove trae la forza il leninismo?
Non dalla moltitudine! – risponde Keynes. Quindi una piccola minoranza, sulle ali dell’entusiasmo e dello zelo, con l’abnegazione e il sacrificio, la dedizione al lavoro e la partecipazione attiva alla vita politica, rende “ciascuno di loro pari in forza a cento indifferenti”. (3)
Sebbene non sia evidente, quest’ultimo periodo gioca a favore del pensiero rivoluzionario e richiama un concetto elaborato da Engels nell’introduzione a Lavoro salariato e capitale del 1891. Un opuscolo che apparve per la prima volta nel 1849 e che si basava sulle conferenze che Marx tenne all’Associazione degli operai tedeschi, nel 1847, a Bruxelles. Engels scrisse che egli apportò una modifica che riguardava la distinzione tra lavoro e forza lavoro, un concetto che Marx sviluppò, in seguito alla pubblicazione del primo fascicolo di Per la critica dell’economia politica nel 1859 e sulla base delle ricerche e degli studi effettuati nel decennio precedente a tale data.
Engels ci tenne a sottolineare questo punto, non perché si trattasse di una pedanteria verbale, piuttosto perché la ripubblicazione dell’opuscolo era un’operazione di “propaganda”, con un elevato numero di copie per l’epoca, destinata a coinvolgere il più ampio numero di operai.
Nel frammento che segue, entra in scena l’abilità dialettica di Engels, che risponde, a mio avviso, alle perplessità e agli aspetti positivi sottolineati da Keynes qui sopra e alle difficoltà odierne di intercettare i lavoratori e le lavoratrici sulla questione dell’emancipazione dal lavoro salariato.
Engels precisa che il punto da lui individuato rimane tra i più importanti della critica all’economia politica e rappresenta «una spiegazione ai borghesi, perché essi possano convincersi della enorme superiorità degli operai incolti, ai quali si possono rendere facilmente comprensibili i problemi più difficili dell’economia, sui nostri presuntuosi uomini “colti”, cui tali questioni intricate restano insolubili per tutta la vita». (4)
Sul piano economico, argomenta Keynes il Comunismo, inteso come Ordine nuovo, esalta “l’uomo comune” e fin qui niente di nuovo, così come non c’’è nulla di strano che i suoi portavoce lo pongano sul medesimo livello del capitalismo, per come si presenta in quel periodo, rispetto agli sviluppi materiali e tecnici, anche se in questa sfida o equiparazione sistemica, sulle prospettive e i risultati futuri, l’economista di Cambridge intravvede una sorta di bluff.
I suoi sospetti non erano del tutto infondati e il modo di argomentare su una presunta superiorità del Nuovo ordine sociale, nascondeva, a suo giudizio, un tentativo di coprire le sue inefficienze economiche.
C’è un aspetto che, in qualche modo, sorprende positivamente Keynes e sul quale focalizza l’attenzione, per far emergere i limiti e le complicazioni che assillano i paesi capitalisticamente più avanzati: il leninismo (il Comunismo) che non è un fenomeno soprannaturale, in un breve arco temporale, cambia le attitudini o il rapporto degli individui towars the Love of Money, nel senso che le motivazioni per fare denaro o accumulare denaro ad ogni costo e senza guardare in faccia nessuno, non ottengono la stessa approvazione sociale dei paesi capitalisti. Il Money making su larga scala, pronto a fare una montagna di soldi, come avviene ai nostri giorni, è visto come un comportamento deprecabile e non riceve una conferma o validità sociale nel Nuovo ordine socialista.
Attenzione, però, qui Keynes non sta recitando un sermone contro il denaro! Del resto scrive che «Russian people are very greedy for money at least as greedy as elsewhere» (5) l’ingordigia per il denaro è una “malattia” molto diffusa, che la Russia dei Soviet di quel periodo prova ad affrontare, anche se in modo contraddittorio.
Gli avvenimenti delle politiche economiche e sociali dei Soviet stimolano le sue riflessioni e gli forniscono un punto di appoggio, almeno su quest’ultimo argomento, che sto cercando di delineare, mentre il suo pensiero esprime una visione lucida del contesto socio-economico in cui vive. Capacità di analisi ed osservazioni mirate alle situazioni concrete gli permettono di percepire che il processo di accumulazione del capitale sta per arrivare ad un punto di non ritorno e che le politiche e i principi impliciti del laissez faire sono ormai collassati.

Ritorno a Keynes?

Ora, a distanza di un secolo dalla pubblicazione del saggio di Keynes, i lettori attenti potrebbero chiedere in coro: «The Love of Money è scomparso?» Niente affatto! La polarizzazione della ricchezza, a partire dalla metà degli anni settanta del secolo scorso, è aumentata: è sufficiente pensare ai nuovi paperoni americani come Elon Musk, Jeff Bezos, Bill Gates e compagnia bella.
Come giustamente ha puntualizzato M. Craviolatti, nel 2012 il Governo Monti mise in atto una politica economica di austerità, che attaccava i diritti dei lavoratori e con l’ennesima Controriforma, disegnata, in quell’occasione dal Ministro Fornero, fu innalzata a dismisura l’età pensionabile, allungando di fatto la vita lavorativa, con conseguenze deleterie, per le persone che svolgono lavori pesanti, pericolosi e ad alto rischio di infortuni e malattie professionali. Nello stesso anno, Sergio Marchionne ha guadagnato 48 milioni di euro.
Questi elevati compensi dei super manager delle imprese pubbliche e private, per non parlare degli azionisti, dei brokers della Borsa, degli agenti delle società di intermediazione, degli influencers di successo, degli artisti e calciatori famosi, eccetera, non suscitano scalpore, non fanno gridare all’ingiustizia sociale, ma richiamano atteggiamenti emulativi e di riverenza, che ricordano il rapporto di ammirazione dei sudditi per la famiglia reale.
Tuttavia, nonostante il “lavoro povero”, i lavoretti, la precarietà lavorativa, i sussidi di disoccupazione, il reddito di cittadinanza, la mobilità lavorativa, la cassa integrazione, il lavoro nero, gli espedienti lavorativi che sconfinano nell’arrabattarsi e nell’arrangiarsi, non siamo ancora precipitati ai tempi di Keynes.
Dai racconti popolari, nelle aree periferiche dell’Italia degli anni trenta, durante la Grande Depressione, si apprende che la miseria era generalizzata: si mangiava una zuppa nel medesimo contenitore e se non si trovava il cucchiaio in tempo, si finiva per patire la fame quel giorno; si dormiva ammucchiati nella stessa stanza, in una catapecchia senza acqua potabile a portata di rubinetto, senza corrente elettrica e mal riscaldata durante l’inverno; le malattie legate all’obesità erano quasi assenti, ma si campava di meno, poiché le cure sanitarie erano scarse o alla portata di una piccolissima percentuale della popolazione; l’analfabetismo dilagava, così come dilagava il lavoro minorile, l’avviamento al lavoro poteva avvenire anche intorno a nove anni.
Si possono chiudere gli occhi e le orecchie sui documentari di D. Iannacone? No! Ci sono le bidonville nelle megalopoli, le baraccopoli di Borgo Mezzanone in Puglia e di San Ferdinando in Calabria, ci sono i senza tetto che dormono sui cartoni e tante persone che sono costrette ad occupare le case, perché non si possono permettere di pagare un affitto, è riemerso il problema dei caporali, che spremono come limoni i migranti clandestini.
Ma poi ci sono migliaia di giovani laureati che si trasferiscono all’estero, pronti a svolgere qualsiasi attività lavorativa, tant’è che il Messaggero grida allo scandalo: «Prendono la laurea in Italia e lavorano nei campi in Australia!»; e poi ancora, nelle grandi città italiane, ci sono migliaia di appartamenti sfitti e il costo della pigione è inaccessibile per una famiglia operaia monoreddito, mentre la speculazione edilizia partorisce altri mostri di cemento.
A un estremo tante persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, dall’altro pochissimi individui che navigano nell’oro, con redditi e patrimoni di miliardi di dollari. In base all’Osservatorio sulla diseguaglianza nel mondo, la forbice tra super ricchi e poveri, nel 2024, è aumentata.
Ciò non toglie che nel resto della distribuzione della popolazione dei paesi OCSE, (6) anche se si registrano altre forme di polarizzazione della ricchezza, le condizioni di vita e l’accesso ai beni e servizi, non solo per la soddisfazione dei bisogni primari, ma anche quelli di ordine superiore, sono migliorati di molto, rispetto agli anni trenta del XX secolo.
La teoria economica che Keynes ha elaborato durante la crisi degli anni trenta contribuirà, negli anni successivi, in modo determinante agli sviluppi e all’affermazione del Welfare state: l’intervento pubblico nell’economia consentirà di assorbire gli elevati tassi di disoccupazione involontaria ed innalzare il livello del reddito della stragrande maggioranza della popolazione.
Le politiche fiscali espansive hanno mediato lo sviluppo nel trentennio successivo alla Seconda Guerra Mondiale, finché non è emerso il problema della stagflazione, cioè l’aumento contemporaneo della disoccupazione e dell’inflazione, un contesto inedito, le cui implicazioni, pur se continuano a produrre effetti reali sulle nostre relazioni sociali ed organizzative, sono trascurate nel dibattito pubblico dominante. (7)
In questo periodo storico, Joan Robinson, nel 1971, per parlare della Seconda Crisi della Teoria Economica, quando erano evidenti le prime crepe nella strategia del pieno impiego, ha posto la domanda chiave: «A cosa serve l’occupazione?»
La rottura degli equilibri dinamici, all’interno di una formazione sociale, che ha raggiunto il suo apice, impone un cambiamento, il quale non è sempre lineare, progressivo, positivo.
Marx ci ricorda che: «Le circostanze fanno l’uomo non meno di quanto l’uomo faccia le circostanze». Il che significa che la modifica dell’ambiente richiede il cambiamento di se stessi, in primo luogo, altrimenti intervengono spinte regressive. Come ha rilevato P. Cicalese: «Il rapporto lavoro-capitale era arrivato ad uno snodo che imponeva una scelta radicale. Andare avanti e trovare nuovi modi di lavorare e di vivere, dato lo sviluppo della produzione…….. Oppure andare indietro, tornare ai rapporti di fine Ottocento e inizio Novecento, con salari insufficienti, immiserimento delle masse, disoccupazione e povertà». (8)
Che ci sia stato, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, uno spostamento della ricchezza prodotta, cioè degli aumenti della produttività, dai salari ai profitti, è possibile dimostrarlo anche con strumenti matematici e statistici (9).
Quindi non si tratta di ritornare a Keynes, come in tanti hanno suggerito, in seguito alla crisi del 2008, innescata dalla bolla del mercato immobiliare statunitense e i relativi mutui subprime.
È un tentativo di chiarire alcuni aspetti del pensiero di Keynes che non sono stati ancora recepiti o metabolizzati e rischiano di creare molta confusione, quando vengono richiamati.

Il duplice abbaglio di Keynes, secondo Craviolatti

Craviolatti concorda sul trend dell’impoverimento dei lavoratori, che si è venuto a delineare, in seguito alla crisi dello Stato sociale, infatti egli scrive: «Dal 1971 ai primi anni del 2000 la percentuale della ricchezza dei salari o il reddito lordo dei lavoratori è passato dall’83% al 66% del Pil». (10)
Ci troviamo in una situazione paradossale: sebbene la produttività del lavoro sia moltiplicata negli ultimi cinquant’anni, le persone che lavorano sono costrette ad allungare l’orario lavorativo e la flessibilità lavorativa, ad intensificare i ritmi o a svolgere dei lavori precari o a svolgere una serie di lavori che non gli consentono di vivere, in quanto le retribuzioni sono sotto la soglia di povertà, pertanto è più conveniente rimanere disoccupati, se si ha accesso ai benefici connessi con quest’ultima prestazione.
Craviolatti estrae una delle proposizioni più note di un saggio di Keynes, del 1930, Possibilità economiche per i nostri nipoti, sostenendo che la sua previsione (profezia) sulla riduzione dell’orario di lavoro si è “rilevata infondata per un decisivo errore concettuale (il primo abbaglio)”. Egli partiva dall’assunto – asserisce Craviolatti – che “la scienza e la tecnica fossero utilizzate neutralmente a beneficio di tutta la società”. (11)
Nella realtà, invece – prosegue Craviolatti – queste due variabili vengono incorporate nel capitale fisso delle imprese, con lo scopo di risparmiare il lavoro salariato, ridurre i costi di produzione ed ottenere il massimo valore dal lavoro residuo, senonché il miglioramento delle condizioni di vita degli individui associati, è subordinato ai vincoli appena sottolineati.
Dunque, il capitale tende a ridurre il lavoro ai minimi termini, poiché è mosso dall’esigenza di ridurre i costi e di aumentare i profitti. Il capitalista A, che agisce in un mercato concorrenziale, non è del tutto consapevole che la forza lavoro che compra, per avviare il processo produttivo, appartiene agli operai, ma percepisce che questi ultimi si presentano ed agiscono in forme antagonistiche o conflittuali, dato che sono spinti da interessi contrapposti.
Nel modo di produzione capitalistico, il capitalista A, che ha già avviato la produzione per il mercato, dispone di macchine, impianti, attrezzature, fabbricati (i mezzi di produzione) che costituiscono il capitale fisso e che rendono il lavoro più produttivo, rispetto all’impiego, per esempio, dell’incudine e del martello del fabbro. Provate ad immaginare il rapporto, per il sollevamento dei pesi, tra una carrucola manuale e una moderna gru, in un cantiere edilizio! Ovviamente, si dovrebbe tener conto delle implicazioni positive e negative della “potenza” della macchina moderna.
Quindi, il capitalista A non può prescindere dalle innovazioni tecnologiche, a meno che non si trovi costretto ad abbandonare il terreno della competitività, poiché i suoi costi di produzione sono molto lontani da quelli socialmente necessari. Pertanto, nel caso in cui dimezzi il lavoro socialmente necessario, per produrre un determinato bene, ottiene un vantaggio competitivo nei confronti degli altri capitalisti, i quali, a loro volta, sono chiamati a prendere le stesse misure determinate dal cambiamento intervenuto nel sistema produttivo, altrimenti rischiano di essere buttati fuori, contro la loro volontà.
Marx ed Engels hanno ampiamente illustrato gli sviluppi delle forze produttive del modo di produzione capitalistico, rispetto agli altri modi di produzione che lo hanno preceduto, senza per nulla tralasciare le contraddizioni come sfruttamento ed immiserimento della classe lavoratrice, ponendo l’accento sulle continue crisi di sovrapproduzione, che generavano ingenti espulsioni dei lavoratori dai contesti produttivi.
Se le imprese B, C, D, N, incorporano nel loro capitale fisso la tecnologia con la stessa capacità produttiva dell’impresa A, diminuisce il vantaggio competitivo di quest’ultima e il relativo profitto, ma se la domanda non riesce ad assorbire i connessi aumenti della produzione, allora ci troviamo di fronte a una crisi di sovrapproduzione in quel determinato settore, con un conseguente aumento della disoccupazione. Il ciclo si riprende, quando esistono possibilità alternative d’investimento, cosicché i capitali in eccesso finiscono in altri settori, in un’ottica espansiva.
Il cerchio si chiude, solo se l’investimento aggiuntivo è spendibile, nel senso che la maggiore capacità produttiva riesca ad incontrare la relativa domanda e non si trasformi in sovrapprodotto invenduto.
Gli aumenti di capitale fisso e i relativi aumenti della produttività modificano la struttura produttiva, in quanto essendo il lavoro più produttivo, se all’orizzonte non s’intravvede una fase espansiva della produzione, dato che la domanda evidenzia piccole oscillazioni, variazioni minime, spesso negative, è possibile ridurre le ore di lavoro complessive, senza diminuire il salario, per ottenere lo stesso volume di produzione.
In questo processo, è vero che il capitalista punta ad appropriarsi delle ore di lavoro non retribuite, derivanti dagli aumenti di produttività, per incrementare il Plusvalore, quindi è più propenso a far sì che gli orari rimangano invariati, invece di assorbire la manodopera ridondante. Ma qui si presenta un problema che il senatore G. Agnelli cerca di comunicare al senatore L. Einaudi, in quel documento archiviato nella soffitta e noto come La crisi e le ore di lavoro: un aumento della disoccupazione fa calare i consumi e quindi mette a repentaglio, con un effetto domino, anche il lavoro di coloro che stanno continuando a produrre all’interno della fabbrica.
In un contesto in cui il capitale fisso si presenta in forme sovrabbondanti, come quello degli anni trenta, siamo di fronte a una crisi di sovrapproduzione e da questo punto di vista ha ragione M. Parretti, quando afferma che la teoria di Keynes, sebbene utilizzi il linguaggio degli economisti della scuola neoclassica, pervenga alle stesse conclusioni di Marx, contrariamente alla tesi di Craviolatti. (12)
Di fronte alla crisi di sovrapproduzione strutturale, Keynes si è espresso in modo radicale, sostenendo che il potere oppressivo del capitale stava condannando la collettività al sottoconsumo. Il livello di accumulazione del capitale era giunto a un punto tale che distruggeva lo stesso processo di valorizzazione, condannando la società a vivere nella penuria, quando c’erano le risorse (il capitale fisso) e un esercito di disoccupati, per migliorare la qualità della vita di tutta la popolazione.
Giovanni Mazzetti ha più volte ribadito che Keynes, in quella fase, ha continuato a battersi per un “soggetto pubblico” in grado di prendere le redini dell’economia e limitare il potere dei privati, i quali si ostacolavano a vicenda, creando un blocco artificiale delle attività, in quanto anteponevano il risparmio (il profitto) alla soddisfazione dei bisogni.
Proprio perché lo Stato sociale ha posto un limite al processo di accumulazione del capitale, alla proprietà privata e in base al fatto che la scienza e la tecnologia – le variabili a cui accenna Craviolatti – non sono state completamente al servizio del capitale, si è verificato un aumento generalizzato della ricchezza sociale, emancipando la classe lavoratrice dalle condizioni di miseria.
Il mancato obiettivo, di cui parla Craviolatti, della drastica riduzione dell’orario di lavoro, non può essere attribuito a Keynes, mentre le responsabilità sul turning point dei primi anni settanta ricade in misura maggiore sulla supponenza e la superbia di tanti intellettuali di sinistra che hanno messo le questioni del lavoro in un angolino, ma anche di quei tanti lavoratori che si sono cullati sull’idea che quelle conquiste sociali erano definitive.
Per Craviolatti, il secondo errore cardinale (il secondo abbaglio) di Keynes consiste nella sottovalutazione del ruolo dei consumi, in relazione all’espansione della produzione e all’aumento dei profitti.
L’impresa privata persegue il profitto sia con la riduzione dei costi di produzione che con l’espansione della produzione stessa.
A tal fine – precisa Craviolatti – essa induce ininterrottamente nuovi bisogni e stimola l’espansione dei consumi tramite la diffusione di nuovi prodotti, ma anche attraverso la valorizzazione di servizi abitualmente autogestiti senza scopo di lucro.
Tra i nuovi prodotti mette in risalto i navigatori per auto, i robot aspirapolvere e le macchine per il caffè. Siamo nel 2014 e Craviolatti considera questi prodotti come delle irrinunciabili tentazioni – i nuovi prodotti hanno la caratteristica di presentarsi come delle irrinunciabili tentazioni e rientrano nell’osannata capacità di vendere frigoriferi agli eschimesi.
Su questo punto l’analisi di Keynes, a mio avviso, è puntuale, in quanto, già a suo tempo, può osservare che la capacità di produrre corre più velocemente della diffusione di nuovi bisogni, stimolati dal lancio di nuovi prodotti o servizi, all’interno del mercato, indotti con l’ascesa delle tecniche di marketing.
Sorprende che Craviolatti non colga questa sottile differenza, pur lavorando nella direzione della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Il navigatore per auto, di cui porta l’esempio Craviolatti come nuovo prodotto che tenta gli “appetiti insaziabili degli esseri umani, è stato incorporato negli smartphone, ragion per cui, nel giro di pochi anni, il modello integrato è diventato una tecnologia largamente diffusa e in dotazione di serie su tanti veicoli utilitari di recente fabbricazione.
Là dove è presente un navigatore nella plancia dell’autovettura, il sistema integrato permette di collegarlo al proprio smartphone, tramite un cavo USB. Utilizzando il ricevitore di Google Maps si accede alle informazioni sul posizionamento, che sono molto più precise e dettagliate di quelle disponibili come, per esempio, in Sensus Navigation, in dotazione a vetture di media o alta gamma. Il ricevitore del cellulare è alla portata della stragrande maggioranza, anche di coloro che non posseggono un veicolo privato per muoversi.

Breve storia dei sistemi di navigazione automobilistici

Il primo prototipo di navigatore per l’orientamento stradale risale al 1930, esso ha una struttura rudimentale e viene utilizzato nelle autovetture in via del tutto sperimentale, per le scarse funzionalità. Bisogna attendere il 1981, quando alla Honda introducono il primo sistema di navigazione automobilistico. Il dispositivo, noto come Electro Gyro-Cator, utilizzava il sistema di navigazione inerziale, che si basava sulla stessa tecnologia in dotazione ai pilota dei caccia durante il periodo della Guerra Fredda: l’individuazione della propria posizione, con il sistema inerziale, dipendeva da tre coordinate, cioè il posto dal quale si partiva, la rotta che si stava seguendo e il tempo già trascorso, dall’orario di partenza. (13)
Il costo per unità prodotta era molto elevato e corrispondeva a circa il 25 % del costo medio di una vettura di quel periodo, intorno a 2.800 dollari, pertanto rappresentava un optional per le auto di alta gamma.
Il 99,9% degli automobilisti si orientava e trovava le strade con l’ausilio delle mappe cartacee, del resto Electro Gyro-Cator utilizzava mappe traslucide che scorrevano manualmente su uno schermo.
Il passaggio alle prime mappe digitali avviene nel 1985, negli USA, con il sistema Etak ed i dati vengono memorizzati sui nastri magnetici: ogni nastro contiene i dati relativi a un quadrante di una grande città. Due anni dopo, in Giappone, i dati delle mappe vengono trascritti sui CD ROM e il dispositivo di lettura, con display a colori, è inserito nel cruscotto della Toyota Royal.
Nei primi anni 90 del secolo scorso, la Mazda introduce il primo sistema di navigazione automobilistico GPS; tale tecnologia, contemporaneamente viene sviluppata ed applicata su veicoli di altissima gamma anche dalla General Motors.
Ma il salto qualitativo si ebbe mel 1998, quando la Garmin, azienda multinazionale con sede operativa negli USA, ha introdotto il GPS Street Pilot, un dispositivo portatile per la navigazione degli automobilisti. I costi unitari scesero di molto ed aveva il vantaggio di poter essere spostato da un veicolo ad un altro.
Ma come funziona la tecnologia GPS e quali cambiamenti ha determinato nell’ultimo quarto di secolo?
GPS è l’acronimo di Global Positioning System ed è stato lanciato negli USA nei primi anni settanta del secolo scorso, in ambito militare, per permettere ai mezzi dell’Esercito terrestre, della Marina e dell’Aviazione di orientarsi e d’individuare la loro posizione nel tempo e nello spazio, anche in situazioni meteorologiche molto difficili.
La prima apertura in vista dell’utilizzo di questo sistema di posizionamento, per scopi commerciali o civili, è avvenuta nel 1991, tuttavia gran parte delle restrizioni, per motivi di sicurezza, permangono sino al 2000.(14)
La Russia, nel contempo, ha sviluppato il sistema di rilevamento delle coordinate denominato GLONASS, di recente, nel 2016, l’Europa ha lanciato il progetto GALILEO, una rete di 30 satelliti, che girano attorno alla terra, a migliaia di chilometri, Cina ed India, ovviamente, partecipano a questa corsa.
La rete GPS è costituita da 32 satelliti, che girano attorno alla terra, a una distanza di 26.000km ed affinché le informazioni sulla propria posizione, lungo il tragitto che si sta percorrendo, siano captate dal ricevitore del dispositivo mobile o fissato nel cruscotto del veicolo, i segnali radio devono pervenire, contemporaneamente, da quattro satelliti.
Ma il salto qualitativo e quantitativo dei sistemi di navigazione, per gli automobilisti, si è verificato a partire dal 2011, quando i ricevitori GPS e GLONASS sono stati integrati negli smartphone, dando la possibilità a chiunque acquistasse un cellulare, pur di non elevata gamma, di ottenere informazioni audio e visive dettagliate sul percorso stradale selezionato, sebbene la propria autovettura, in quanto un modello utilitario oppure troppo vecchio, non disponesse ancora del navigatore con display impiantato nel cruscotto.
Con lo smartphone, basta essere collegati alla rete Internet, tramite il server del proprio operatore telefonico, per accedere al servizio di localizzazione.
Il cellulare ha il vantaggio di poter essere utilizzato anche per muoversi a piedi, in una città che non si conosce, individuando la nostra destinazione, senza chiedere informazioni alle persone che abitano in quel determinato posto e senza tralasciare che si possa fare a meno delle ingombranti mappe cartacee.
I dispositivi mobili, tra le altre cose, grazie alla geo-localizzazione e delle app specifiche, consentono di individuare con precisione l’orario dell’autobus che si desidera prendere.
In poco più di un decennio, il dispositivo di navigazione e geo-localizzazione è stato trasformato da un oggetto di lusso ad un gadget alla portata di tutti, anche dei bambini, dando prova che la saturazione dei mercati, per i nuovi prodotti, avviene ad un ritmo elevato e con tempi ristretti. Pertanto, al contrario di ciò che sostengono, non solo gli economisti di credo neo-liberale, ma anche alcuni di quelli che fanno riferimento al marxismo, i “nuovi bisogni”, che vengono stimolati o indotti, con campagne pubblicitarie pervasive, finalizzate al lancio e alla diffusione di nuovi prodotti, contengono in seno di già la connessione tecnologica che riduce drasticamente i tempi della loro soddisfazione.

NOTE

(1) J.M.Keynes, Essays-In-Persuasion , A short view of Russia (1925), p. 306 https://ia801502.us.archive.org/18/items/in.ernet.dli.2015.89977/2015.89977.Essays-In-Persuasion.pdf;
(2) Ibidem, p. 309;
(3) Su questo punto, Keynes, credo che si riferisca al fatto che i bolscevichi riescano a mettere fuori gioco i partiti della Rivoluzione politica di febbraio;
(4) K. Marx, Lavoro salariato e capitale, introduzione di F Engels del 1891, https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1847/lavcap.htm;
(5) J.M.Keynes, opera cit., p. 311;
(6) Per questioni di spazio, restringo l’analisi a quei paesi che, in un determinato periodo di tempo, hanno fatto ricorso alle politiche keynesiane o sistema misto in modo esplicito, compresi gli USA;
(7) Per un approfondimento di questo tema si rimanda il lettore all’articolo di Leo Essen, Il sistema dei prezzi è in delirio. I quaderni di Giovanni Mazzetti, https://www.coku.it, 2025/07/07;
(8) P. Cicalese, 50 anni di guerra al salario, L.A.D. Gruppo Editoriale, ETS, Roma 2023, p. 98;
(9) Si veda: E. Donnici, I salarii non dipendono dalla produttività. Una dimostrazione, https://contropiano.org/documenti ,2018/03/19;
(10) Marco Craviolatti, E la borsa e la vita. Distribuire e ridurre il tempo di lavoro: orizzonte di giustizia e benessere, Ediesse, roma 2014; p. 44;
(11) Ibidem, p. 118;
(12) Si rimanda il lettore interessato all’articolo: Lo spettro della sovrapproduzione nell’industria automobilistica internazionale, https://www.coku.it, 2024/11/29;
(13) ttps://ndrive.com/brief-history-gps-car-;
(14) https://www.netrising.com/sviluppo-web/come-funziona-il-gps/;

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