Esproprio Proletario

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La rivista Magazzino, che volle rappresentare la caduta di ogni valore (di scambio) e la fine della storia del lavoro produttivo e dunque la fine dell’operaio massa, eccetera; che volle rappresentare il folle Carnevale Newyorchese durato 25 ore, dalla notte del 13 luglio alla notte del 14 luglio 1977; che volle rappresentare la comparsa sulla scena mondiale dell’Operaio Sociale, non riuscì (la rivista Magazzino) ad arrivare al terzo numero, poiché l’intera redazione finì in carcera con l’accusa, appunto, di aver teorizzato ciò che a New York era effettivamente capitato. E lo aveva teorizzato in questo modo.
Nel Welfare anni 60 si riceveva un salario diretto che remunerava il lavoro cosiddetto produttivo e un salario indiretto che pagava il tempo di non lavoro (il sussidio di disoccupazione, di malattia, l’assegno sociale, etc).
Il tempo di non lavoro (tempo improduttivo) era un frutto diretto della dialettica tra capitale e lavoro (lavoro produttivo). Più il lavoro chiedeva e resisteva, più aumentava la massa del lavoro morto, e più diminuiva la massa del lavoro vivo.
Questa dialettica presto toccò un punto di rottura. Non si poteva cancellare il lavoro vivo dal processo, in quanto ciò avrebbe comportato (è comportò, crisi del 29) la svalorizzazione dell’intero processo.
Il lavoro vivo doveva essere recuperato al processo – negato (e non cancellato, per dirla alla Hegel). È ciò che si fece con il Welfare – con lo stato-piano, con lo stato imprenditore, con la sociologia, con l’operaio-massa e tutto il resto.
Tutto ciò – il salario indiretto – ebbe delle pesanti ripercussione sul volume dei profitti.
Nel 1971, per bloccare l’aspetto degenere del salario indiretto (assenteismo, rifiuto del lavoro, sabotaggio, ecc.), Nixon s’inventò il WorkFare (legò il salario indiretto a una prestazione lavorativa, così da mettere gli uni contro gli altri i percettori di sussidi e i lavoratori cosiddetti produttivi).
La manovra estremizzò la composizione organica del capitale, accentuò il tratto di svalorizzazione già in atto e per qualche tempo contenuto dal welfare.
La svalorizzazione produsse la caduta delle differenze che il blackout di New York rappresentò in modo plastico.
«Quando il buio cadde ad Harlem, la gente si trovava già per strada. Si accesero falò per le strade e una fiaccolata scese giù per Broadway. Nel giro di pochi minuti la notte fu illuminata dagli incendi, le strade furono invase da saccheggiatori che spaccavano le vetrine e portavano via di tutto.
“Dal momento che le luci sono spente e i nigger si stanno arrabbiando”, si vantava un ragazzo nero, “abbiamo intenzione di prendere ciò che vogliamo: e vogliamo ciò di cui abbiamo bisogno”, e anche di più.
Nel giro di pochi minuti dal blackout esplose un gigantesco e spontaneo esproprio di massa in ameno 16 aree della città. Senza collegamento fra loro, ma con un comportamento omogeneo e determinato, squadre ben organizzate di giovani e giovanissimi abbatterono saracinesche e vetrine di grandi magazzini e supermercati, esponendoli a un saccheggio (looting) generale ad Est e Cental Harlem, South Bronx, Bushwick, Bedford-Stuyvesant, Brooklyn, Jamaica queens, residenze di neri, portoricani, immigrati legali e illegali dell’America centrale, ispanoamericani.
“Stanno passando per Bushwick come dei bufali” – riferisce una donna alla polizia.
“C’è gente di tutte le età, di tutte le classi sociali, non abbiamo visto mai nulla di simile”, riferisce un agente.
«Le cler delle vetrine vennero scardinate con piedi di porco, abbattute con automobili e strappate con la forza bruta. Prima ragazzini, poi giovani e adulti svaligiarono negozi e grandi magazzini di abiti, elettrodomestici, mobili, apparecchi televisivi, generi alimentari; […] Nella zona di Flatbsuh un saccheggiatore venne preso mentre cercava di cambiare un televisore in bianco e nero con uno a colori. Altri ad Harlem organizzarono una vendita in un negozio abbandonato, rivendendo il loro bottino con offerte che andavano dai 5 dollari per un paio di scarpe ai 135 per un televisore a coloro mobile.
«Per prima cosa andavano in cerca di vestiti, apparecchi TV, gioielli, liquori; quando ciò venne spazzato via presero generi alimentari, mobili e medicinali. Franck Ross, un poliziotto nero, disse: “è come se una febbre li avesse colpiti, sono fuori con camion, furgoni, roulotte, qualsiasi cosa in grado di camminare”.
«I saccheggiatori hanno considerato ogni cosa trasportabile come un bottino desiderabile. La polizia prese un uomo in Bedford-Stuyvesant con 300 tappi di lavandino e un altro con una cassetta di mollette da bucato. Due ragazzi vennero fermati mentre portavano via un tavolino da salotto. “Dove avete preso questa roba?” urlò un poliziotto: “Me l’ha dato mia madre; puoi tenerlo” disse uno dei due mentre lasciavano cadere il bottino e si tuffavano dentro una folla che stava guardando un negozio di mobili in preda alle fiamme.
«Nel Bronx, in un salone della Pontiac, i saccheggiatori abbatterono il portone d’acciaio e portarono via 50 auto nuove valutate 250 mila dollari. Dei giovani giravano lungo la 14esima strada strappando borsette alle donne. Adulti portavano borse della spesa zeppe di bistecche e carne d’arrosto prese in una macelleria sulla 125esima di Harlem. In un negozio di Harlem due ragazzi di circa 10 anni barcollavano sotto il peso di un televisore, mente una donna camminava con 3 radio.
“È la notte degli animali”, disse il sergente Murphy, “riesci ad afferrarne 5 e 100 prendono il loro posto”.
«Per la gran maggioranza era una festa. La notte di Natale, o di Capodanno, a luglio. Entravano in negozi di tutti i tipi, uscivano carichi, c’era chi se ne tornava a casa con le cose più improbabili, come statue di santi e stole di prete.
«”Questa è una città che è impazzita.”»

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