banconota  Mao

Ogni volta che si affronta la questione del denaro, da qualsiasi angolazione si cerchi di coglierla, si percepisce una sorta di vuoto nella propria mente, una forma di inibizione che rischia di consegnare le proprie ricerche e la propria curiosità scientifica alla rassegnazione o alla sensazione di perdersi nell’oggetto di studio. La circolarità che il denaro costituisce con la vita è così ampia e perfetta che non si riesce a trovare il punto da dove cominciare, qualsiasi anello della catena potrebbe essere il punto di partenza.
Il denaro è un argomento che coinvolge, che condiziona, che determina ogni aspetto della vita associata. È il “medium” che parla ogni lingua e congiunge gli impossibili, ed è di una tale complessità che fa sorgere la necessità di muoversi con i piedi di piombo.
Tutto diventa più complicato quando, a proposito di denaro, a parlare o a dettare legge sono i debiti, ovvero quel rapporto sociale che, computato in modo algebrico, si annulla nel credito. Ma siccome il debito sta diventando un pozzo senza fondo, tra i due segni non c’è corrispondenza, segno che la forza del “medium” è scemata o sta cedendo.
Sia come sia a nessuno viene in mente di disfarsi dei soldi, visto che continuano ad essere chiesti da chi mendica in strada, e visto che, molto più che a noi comuni mortali, parlano alle imprese, alle banche, ai responsabili della politica economica, a tutti quei soggetti che sono alle prese con la questione del debito insormontabile. Un debito non saldabile per il fatto, si dice, che non si “trovano i soldi”.
Ecco come un giornalista descrive sua maestà il debito: «Il debito è fra noi e su di noi, granitico come il macigno che è. Succhia denari che andrebbero investiti in cose buone come ospedali, lavoro e scuole. Ruba futuro al futuro, perché senza soldi non si va lontano. Il debito è qui, il debito è ora.» M. Zatterin, La Stampa, 30/05/2018.
La mancanza di soldi  si trasforma in un macigno, un macigno che sta per cadere sulle nostre teste, che genera paura e terrore, un terrore simile a quello provato dalla persona che si trova in balia delle onde e non sa nuotare.
Insomma, se anche i preti sanno che non si dicono messe gratis, bisogna partire dalla consapevolezza che i soldi sono diventati come l’aria che respiriamo. Tant’è vero che le persone che per lungo tempo non hanno avuto accesso alla liquidità necessaria a soddisfare i bisogni basici*, nel momento in cui la liquidità arriva, si esprimono con la metafora: Una boccata di ossigeno.
Per ribadire l’importanza del denaro e per rendere l’idea di come non se ne possa fare a meno, si può ricorrere a un’altra metafora che abbonda nel linguaggio popolare: Il denaro fa vedere i ciechi.
Si avverte davvero la sensazione che tutti i centri motivazionali dell’essere umano dipendano ormai dal denaro, da questa entità che muove le nostre vite e non guarda in faccia nessuno. Da esso promana potenza e miseria; da esso dipendono le sorti delle banche, dei risparmiatori, dei lavoratori, delle famiglie e dei bambini che vanno a scuola.
Se è questa la realtà che sta fuori dalle nostre menti, realtà sociale nella quale siamo immersi e che proviamo a interpretare; se le vie neurali di ciascuno di noi si sono evolute in base a questa realtà, allora vale la pena esplorarne la “storia”, al fine di individuare anche il nesso soggettivo di questa realtà. Tutto ciò ci potrebbe aiutare a districarci nelle complesse relazioni di crediti e debiti e a porre le basi per un approccio consapevole sulla “natura” del denaro, e imparare, perlomeno, a nuotare in acque non agitate.

Affidandosi al senso comune si fatica a parlare di questa entità. È come cercare di  spiegare a un pesce che cos’è l’acqua. Da questa difficoltà è emerso il bisogno di riprendere a far riferimento all’analisi e alla sintesi scientifica di K. Marx. Un uomo, un autore, che ha dedicato la maggior parte della sua vita allo studio del denaro, senza mai averne a sufficienza e, a tal proposito, con la capacità di schernire se stesso, come si evince dagli scambi epistolari con il suo amico e finanziatore Friedrich Engels.

Bisogna subito dire che “il denaro, al pari dello Stato, non sorge per convenzione. Sorge dallo scambio e per lo scambio.” Le relazioni di scambio sono presenti, in misura e con forme e contenuti diversi, in tutte le epoche della storia, ma si affermano e si sviluppano nel modo di produzione capitalistico, cioè in un periodo storico determinato. Se l’embrione si può trovare nei rapporti mercantili che i fenici tessono lungo le rive del Mediterraneo, bisogna attendere lo sviluppo industriale dell’Inghilterra della fine del 1700, per poterne osservare la prassi diffusa e prevalente.

La connessione sociale

Negli anni in cui Adam Smith scrisse La ricchezza delle nazioni, le relazioni mercantili non erano ancora diffuse sull’intero territorio, ma egli ebbe modo di constatare che gli individui apparivano “liberi” o in grado di esprimere un certo grado di libertà nella costruzione delle loro relazioni produttive.
In breve, si diffuse l’idea che l’individuo, nel perseguire il proprio interesse privato, realizza, inconsapevolmente o involontariamente, l’interesse generale. L’attività del singolo, anche quando è diretta a soddisfare un determinato interesse particolare, è considerata la fonte per l’arricchimento della società nel suo complesso. La libertà del singolo è il presupposto, il punto di partenza, per la realizzazione dell’interesse generale.
La dissoluzione di tutte le relazioni produttive precedenti non è contemplata, non rientra nell’impostazione logica di Smith e degli altri economisti classici in sintonia con il suo pensiero. Essi non si accorgono che l’emancipazione dai vincoli feudali è il risultato di un processo storico, che ha sostituito la  dipendenza personale – tipica delle famiglie patriarcali, delle tribù e successivamente delle  “comunità allargate”- con una dipendenza materiale reciproca che si esprime “nella costante necessità dello scambio e del valore di scambio, come mediatore universale”(p. 25).
Si viene a creare una situazione in cui la produzione di ciascuno individuo è legata all’attività degli altri. L’aumento della divisione del lavoro implica uno spezzettamento del processo lavorativo. Se si rompe un anello della catena, si blocca il passaggio successivo.
Nella produzione artigianale, un singolo individuo, parte dal materiale grezzo e arriva al prodotto finito. Nella produzione industriale più persone partecipano alla realizzazione di uno stesso prodotto. Lo stesso vale per la produzione dei mezzi di sussistenza. La produzione si verifica solo se ci sono persone che acquistano, cioè che consumano quel determinato prodotto. La libertà di produrre del singolo è limitata da quella degli altri.
Ad un primo sguardo si può davvero pensare che il perseguimento dell’interesse privato di ciascuno sfoci, del tutto involontariamente, nella soddisfazione degli interessi privati di tutti. Ma a ben guardare ognuno “impedisce reciprocamente agli altri di far valere i propri interessi. Da questo bellum omnium contro omnes risulta anzi una negazione generale.” (p.26)
“La dipendenza reciproca e universale degli individui indifferenti gli uni agli altri costituisce la connessione sociale” pag. 26
Questa connessione sociale è espressa dal valore di scambio.
“L’individuo deve produrre un prodotto universale”, con caratteristiche che gli permettano di essere scambiato. Il prodotto deve assumere, in primo luogo, la determinazione del valore di scambio, determinazione riconosciuta e misurata dal denaro.
Un costruttore che decidesse di vendere un tugurio scavato nel sottosuolo, simile a una tana per marmotte, senza luce artificiale e naturale, privo dei più elementari servizi igienici, non troverebbe un acquirente, poiché si percepirebbe che l’idea di casa di quell’imprenditore corrisponde al bisogno di una persona di scavarsi la fossa. Si potrebbe verificare una situazione del tutto opposta, ossia che ci siano delle case belle e pronte, con tutti i servizi annessi, in un posto con l’aria pulita e circondate dal verde, ma che queste case non assumano l’espressione del valore di scambio, in quanto non ci sono persone disposte a vivere in quel contesto.
Allo stesso modo, un appartamento vuoto, in una grande città, nonostante ci sia domanda effettiva da parte di potenziali inquilini, non diventa una casa, in quanto il proprietario non ha nessuna intenzione di cederlo in locazione.
Si potrebbe obiettare che l’emergere di queste contraddizioni, collegate alla legge del valore di scambio, riguardi solo una fetta marginale della popolazione, mentre il resto sia coinvolta positivamente, cioè ne tragga benefici superiori ai sacrifici.
Ebbene, sarebbe il caso d’indagare quali sono le reali conseguenze del fatto che, una serie di azioni che potrebbero migliorare le condizioni di vita attuali, vengano limitate o impedite da quella connessione sociale definita valore di scambio.

Il potere sociale del denaro

“Il potere che ogni individuo esercita sulle attività degli altri o sulle ricchezze sociali, esiste in esso in quanto possessore di valore di scambio, di denaro. Esso porta con sé, in tasca, il suo potere sociale, la sua connessione con la società.” (p. 27)
L’organizzazione della vita associata è influenzata da questa connessione sociale. Essa costituisce una forma di esistenza vitale. Lo sviluppo dei sensi esprime dei gesti quotidiani che ricadono in un movimento che riproduce quella dinamica connettiva. Chi ha le tasche piene si sente a proprio agio, in quanto decide il come produrre e che cosa produrre. Per contro, coloro che si presentano con le tasche vuote, riescono ad esercitare un’influenza sulle attività degli altri, solo se trasformano le loro capacità in valore di scambio. No money no party!
Il fatto che ci siano alcuni con le tasche vuote ed altri con le tasche piene è un argomento sul quale cade continuamente un velo mistico che somiglia a quello delle origini della religione cristiana. Quel che è evidente si riassume nella prassi che ciascun individuo annulla la propria particolarità in quell’entità universale che è il valore di scambio. L’attività individuale, così come il prodotto di ogni singolo individuo, assumono un carattere sociale e si riconoscono nella forma del valore di scambio. Il mio lavoro diventa lavoro per gli altri solo quando si presenta come lavoro astratto, lavoro scambiabile, al pari di ogni altra merce.
L’imprenditore decide di produrre armi, poiché esiste uno sbocco, un mercato dove vengono acquistati questi prodotti. Per far ciò ha bisogno di forza lavoro indistinta. Tutti gli individui che partecipano a questo processo produttivo dipendono da condizioni esterne, ossia dalla realizzazione del valore di scambio, dipendono dalla “cosa”, e in questo caso la “cosa” sono armi. Tutto avviene in forza di miriadi di interazioni tra chi offre e chi domanda, e questo processo si replica per ogni prodotto o servizio. L’insieme delle relazioni e delle interazioni reciproche, dei loro contenuti e delle loro forme vitali, si presenta come qualcosa di estraneo, di oggettivo. “Nel valore di scambio la relazione sociale tra persone è trasformata in un rapporto sociale tra cose, la capacità personale in una capacità delle cose.” Pag.27
Il potere sociale di ogni individuo si esprime attraverso le “cose”
“Strappate questo potere sociale alla cosa e dovete darlo alla persona sulla persona” pag 27
La produzione basata su relazioni di dipendenza personale lascia il posto a quella che si fonda sull’indipendenza personale condizionata dalla reciproca dipendenza materiale. Là dove si vedono, in superficie, individui liberi di agire per realizzare il proprio interesse privato, in profondità, si osservano rapporti mediati da cose, oggetti che annullano l’esistenza particolare del singolo e affermano il valore di scambio, in quanto entità universale, socialmente riconosciuta.
Lo scambio e la divisione del lavoro si condizionano reciprocamente, lo scambio è necessario, esso è mediato dal valore di scambio, dal denaro, e presuppone la dipendenza universale reciproca dei produttori, ma anche la reciproca indifferenza degli individui che agiscono isolatamente per realizzare i propri interessi privati. Il potere sociale dei singoli individui si manifesta solo se l’attività svolta o il prodotto della loro attività si trasforma in valore di scambio, cioè quando si trasforma nella forma materiale del denaro.
Alcuni teorici dell’economia classica, nei primi decenni del XIX secolo, riescono a percepire che il denaro, in quanto mezzo di scambio,  “presuppone la reificazione della connessione sociale”.
La reificazione, come nota Marx, è resa manifesta dal credito su pegno e dal denaro dato come caparra. Nel primo caso l’oggetto viene dato in garanzia della somma di denaro presa in prestito. Mentre nel secondo caso il denaro viene anticipato per ottenere il godimento di un determinato bene nel prossimo futuro.
“Gli uomini ripongono nella cosa (nel denaro) la fiducia che non ripongono l’uno nell’altro in quanto persone.” (pag.31)
Nel corso della storia il denaro è diventato  «il pegno mobile della società», in virtù delle sue qualità sociali, del potere sociale che gli esseri umani gli hanno attribuito, potere estratto dalle loro relazioni sociali.  
Resta il fato, nota Marx, che “questa connessione oggettiva è certo preferibile alla mancanza di connessioni o a una connessione soltanto locale, fondata su ristretti rapporti di consanguineità, o di signorie e servitù.” (pag. 33)
Nelle epoche precedenti allo sviluppo dei rapporti borghesi, l’individuo sembra essere in grado di controllare le relazioni sociali di cui è parte attiva. Il suo agire è immediatamente sociale, per la limitatezza e la ristrettezza delle interazioni, l’individuo sembra godere di un potere pieno sui rapporti sociali di produzione, per il fatto che le relazioni si fondano sulla reciproca dipendenza personale.
È ridicolo rimpiangere la pienezza originaria delle economie pre-capitalistiche, proprio com’è ridicolo pensare di dover permanere nell’attuale situazione di totale “svuotamento.”
Dopo pochi anni dal suo arrivo a Londra, a Marx diviene chiaro che “nel mercato mondiale la connessione del singolo con tutti, ma al tempo stesso l’indipendenza di questa connessione dai singoli stessi, si è sviluppata ad un livello tale, che la sua formazione contiene già al tempo stesso la condizione del suo superamento”(pag. 33).

Denaro e tempo di lavoro

Per diventare universale il denaro deve dapprima diventare una merce particolare accanto a tutte le altre merci, dev’essere numerabile e quantitativamente divisibile.
Il denaro trasforma tutte le altre merci in valori di scambio.
All’inizio, come denaro s’impone una merce generale scambiabile con tutte le altre merci. In quanto espressione del valore di scambio di tutte le altre merci, questa merce diventa generale, cioè equivalente generale, misura della scambiabilità. “Diventa una merce particolare, un pezzo di carta, mediante il quale le merci vengono trasmutate in esso nello scambio reale, non soltanto nella commisurazione mentale.” (pag.39)
Adam Smith dice che il lavoro (tempo di lavoro ) è il denaro originario con cui vengono acquistate tutte le merci. “Nell’atto della produzione questa affermazione rimane sempre esatta.”(pag. 41)
Tuttavia, “la necessità di un denaro distinto dal tempo di lavoro sopravviene proprio per il fatto che la quantità di tempo di lavoro dev’essere espressa non nel suo prodotto immediato e particolare, bensì in un suo prodotto mediato e universale.” (pag 43)
Il tempo di lavoro non può essere immediatamente denaro, esso si manifesta mediante l’azione di un soggetto che svolge una mansione specifica e che contribuisce alla realizzazione di un determinato prodotto, con qualità particolari, in un contesto definito e con l’obiettivo di soddisfare un bisogno particolare. Il lavoro di un tessile è un lavoro concreto che serve a produrre un determinato valore d’uso, un oggetto utile agli altri, ma affinché si realizzi questa intenzione, è necessario che ci sia un acquirente che annulli quella particolarità.
“Il denaro è il tempo di lavoro come oggetto generale, o l’oggettivizzazione del tempo di lavoro generale, il tempo di lavoro come merce generale.” (Pag. 44)
Il tempo di lavoro ha una duplice determinazione: esso è tempo di lavoro concreto, particolare, qualitativo, ma anche astratto, generale, quantitativo.
A Smith le due determinazioni appaiono giustapposte. Forse per via del fatto che ai suoi tempi lo scambio non era molto sviluppato, e solo il sovrappiù veniva scambiato su scala nazionale.
La sua tesi è che esiste un prodotto del lavoro particolare accanto a quello generale, cioè esiste una merce generale accanto a quella particolare, cioè l’operaio deve dare la forma di denaro a una parte dei suoi prodotti e quindi produrre merci che non hanno solo un’esistenza per sé, ma anche un’esistenza generale, in quanto valore di scambio
Tutto ciò significa che “il tempo di lavoro particolare non può essere scambiato con tempo di lavoro particolare, ma che questa sua scambiabilità generale, deve invece prima essere mediata, deve assumere una forma oggettiva differente da se stessa per conseguire questa scambiabilità generale” pag. 46
“Per essere immediatamente denaro generale, il lavoro dovrebbe essere sin dal principio non un lavoro particolare, bensì lavoro generale, cioè posto sin dal principio come elemento della produzione generale. Non sarebbe lo scambio a conferirgli il carattere generale, sarebbe invece il suo carattere comune presupposto a determinare la partecipazione ai prodotti.
Il carattere comune della produzione farebbe sin dal principio del prodotto un prodotto comune, generale.” (pag. 47).
Ora, se ho ben capito, in base alle osservazioni di Leo Essen su Il Movimento per... è qui, sul ruolo del denaro, che sorgono dei problemi.
Da queste rilevazioni critiche è sorto il bisogno di ripercorrere il cammino a ritroso, giacché la riflessione sul denaro affrontata in Il Movimento è stata inserita nel contesto della “crisi dello Stato sociale”.
In Il Movimento l’intenzione era di incidere sulla realtà esterna, sul  pensiero degli altri, ma anche il tentativo di elaborare una  visione dell’ambiente circostante, di creare un edificio teorico per interpretare il mondo nel quale siamo immersi, partendo dal presupposto che non si debba per forza appartenere a un dipartimento universitario, se si “vuole” o se si è “capaci” di portare avanti un determinato progetto, altrimenti detto, se si è capaci di “darsi un compito” coerente con il proprio sviluppo cognitivo.
Procedendo oltre il metodo di Socrate, si dovrebbe convenire che il conoscere è un modo per riconoscersi e che la condivisione della conoscenza sia bilaterale, cioè del tipo: io so che tu sai che io so e viceversa. Una volta che si percepisce che un discorso esiste per un altro, si sperimenta la finitezza del pensiero e si ritorna in se stesso.
Per un altro verso, per quanto mi riguarda, il fatto di riprendere il libretto di Marx sul denaro e di ritornare a leggere qualche frammento dei manoscritti, significa, in primo luogo, che ho bisogno di approfondire le sue opere, ma anche che sono in continuo divenire, non compiute, come, del resto, dimostrano le recenti celebrazioni. E quindi, continuando la ricerca, ci rendiamo conto che Marx allarga il nostro presente, lo rende ricco di articolazioni che stimolano la curiosità. Dunque, non si può parlare di un autore e pretendere che allo stesso tempo non esista.
Tutt’ora, per lo più, ci sono due modi di accostarsi ai suoi scritti: trattarli come un ferro vecchio, oppure considerarli come sacre scritture. Tra questi due estremi, capita di trovare ancora persone che considerano fecondo il suo pensiero e continuano ad interrogarsi sul come approcciare la sua teoria. Una nota dolente di quest’ultimi è che, molto spesso, non dialogano tra di loro, come, a tal proposito, fa notare Leo Essen nella recensione all’ultimo libro di G. Mazzetti. Forse, per il fatto che esista un certo grado di smarrimento in questo fiume del pensiero marxista, vale il principio espresso anni fa da F. Piperno: «è saggio dividersi per trovare la strada».

Comunità

Penso che il termine “comunità” sia pieno di ambiguità, quindi potrebbe dar luogo a fraintendimenti o equivoci, e produrre una specie di corto circuito nella comunicazione, quindi è logico che una parola ad hoc, inserita in un determinato contesto interattivo, possa destare o suscitare sensazioni “regressive”.
Senonché, una volta accertato e consolidato il pensiero sul fatto che la “comunità del denaro” sia di ordine superiore a quella triviale dei patriarchi e dei capi tribù – senza poi parlare delle nefandezze del “socialismo reale” –  ciò non toglie che sorgano nuovi problemi, come più volte ripete Mazzetti.
In effetti, nella proposizione presa in esame, Marx non ci dice in che cosa consista il “denaro generale”, al quale dovrebbe corrispondere non un lavoro particolare, ma un “lavoro generale”, né tanto meno è chiaro il passaggio sul come diventi “medium” della “produzione comune”.
Tuttavia, credo che la grandezza e la plasticità neurale del pensiero di Marx, risieda nella prassi che egli si sia tenuto sempre lontano dal dispensare “ricette per l’osteria dell’avvenire”, senza mai rinunciare a un programma – qui intendo dire che sebbene fosse consapevole che il cambiamento non potesse verificarsi con una quieta metamorfosi, ha sbeffeggiato tutti quegli scellerati fomentatori, agitatori di popolo, senza una visione sul come intervenire per migliorare la situazione economica e sociale – per l’azione politica, ogni qualvolta si è esposto in questa direzione.
Il termine comunità ha una miriade di sfaccettature, a secondo del contesto dove viene inserito: “comunità” locale, tribale, internazionale, terapeutica e di recupero, scolastica, degli esuli, dei migranti, eccetera.
Se si presta attenzione alla serie delle parole che seguono il termine sopra indicato, si comprende che tutti questi concetti, tranne quello che si riferisce alle tribù, sono nel linguaggio corrente, e a ben guardare sono permeati dal denaro. Salta subito agli occhi se una “comunità montana” è squattrinata! D’altronde, si odono spesso interventi o prese di posizione della “comunità internazionale” nelle dispute tra due Stati; così come sarebbe assurdo immaginare una “comunità locale” completamente isolata dagli avvenimenti globali.
Eppure, per quale motivo la “comunità internazionale” non emerge in quelle situazioni dove l’oggetto del contenzioso tra gli Stati è un’azienda di produzione, che è l’espressione della ricchezza sociale?
A mio avviso, dipende da tanti fattori, ma soprattutto dal fatto che coloro che partecipano a quella produzione continuano ad agire come se i loro prodotti appartenessero, diciamo così, a “un’entità sovrasensibile”, come se la loro azione non stesse contribuendo a quel determinato contesto che si è venuto a creare. Mentre la produzione agisce al livello della comunità internazionale, ci si ostina a considerarla come confinata alla comunità locale. Allora, nei casi di delocalizzazione, la questione diventa: in quale sito continuare a produrre? Senza pensare, per un solo istante, che, forse, la soluzione migliore potrebbe essere quella di produrre in entrambi luoghi, se quegli oggetti continuano a soddisfare dei bisogni altrui. Mi viene in mente quello che affermò J Nash: «la migliore soluzione si ottiene, quando ciascun elemento del gruppo fa ciò che è meglio per sé e per il gruppo».
La dinamica competitiva coinvolge tutti gli stakeholders, quindi anche gli operai, i quali continueranno ancora ad ostacolare il graduale superamento della proprietà privata, se non diventeranno consapevoli che il lavoro ne costituisce “l’essenza soggettiva”.
Quanto alla programmazione è uno strumento che le stesse imprese utilizzano per non procedere alla cieca, e nel momento in cui si rendono conto che non raggiungono un determinato obiettivo, lo riformulano, restando, però, prigioniere delle proprie credenze.
In sintesi: «la mappa non corrisponde al territorio». (G. Bateson).
In fondo, anche un piano di studi universitario è soggetto a variazioni, per degli imprevisti individuali o istituzionali. Pertanto, non si tratta di eliminare il denaro perché è un feticcio pericoloso, e mettere al suo posto l’algoritmo della PA, ma, secondo me, si tratta di conoscere la sua storia e le sue implicazioni nella prassi quotidiana. Fermo restando che non bisogna solamente smontare l’orologio per sapere come funziona, ma è necessario rimettere i pezzi insieme per farlo funzionare.
Muoversi in questa direzione potrebbe voler dire:
    a) essere consapevoli del processo con il quale si è evoluto il sistema dei programmi racchiuso nella nostra mente, cioè tener conto delle condizioni di riproduzione materiale degli individui nel modo di produzione capitalistico;
    b) prendere atto, quindi, che le forme di vita che ne sono scaturite hanno continuato ad agire in base al coattivo riflesso di perpetuare l’accumulazione;
    c) che la crisi dello Stato sociale, che si sta ancora manifestando con il senso di colpa di aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità e all’espiazione della colpa mediante il rituale dei sacrifici, sia una prova di come le categorie astratte di merce, denaro e valore si scambio siano radicate nei pori della nostra pelle;
    d) dunque, che sia necessaria una rimodulazione di quei programmi, come avviene, per esempio, in alcuni ambiti con la PNL; una tale strategia dev’essere intesa come un processo educativo che miri ad “elaborare dei modi per insegnare alle persone ad usare il proprio cervello”. (R. Bandler). È  molto probabile che la rivisitazione di quelle funzioni, che si sono stratificate nel tessuto sociale complessivo e nelle cellule di ciascuno individuo nel corso del tempo, sia essenziale per produrre un “nuovo senso comune” che non faccia a  pugni con il paradigma dell’abbondanza materiale.

*  K. Marx nei Manoscritti del 1844 scrive che: «Il denaro è il lenone fra il bisogno e l’oggetto, fra la vita e il mezzo di vita dell’uomo. Ma ciò che mi media la mia vita mi media anche l’esistenza degli altri uomini». Anche le citazioni seguenti.

 

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