Folle rivolta iraniana

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La rivolta islamica non è un’esplosione di volontà rivoluzionaria, ma è un gesto opaco e insistente di sottrazione. Il popolo iraniano, tra l’autunno del ’78 e l’inizio del ’79, sembra dire al regime, al capitalismo globale, all’Occidente razionalizzante: «Non obbedirò più. E non lo farò secondo le modalità della disobbedienza».
Foucault non vede qui una rivolta nel senso classico, dialettico, marxista, con un obiettivo, una fine e una strategia. No. Qui c’è qualcosa di più spiazzante: un’intera popolazione che, senza apparati, senza avanguardie, senza vocabolari politici condivisi, si alza in piedi per sottrarsi. Non avanza, non conquista, si rifiuta – e nel rifiuto stesso, genera un’apertura. Non propone un’altra forma di potere, ma una frattura nel potere.
La rivolta iraniana destabilizza, non con la forza, ma con l’enigma. Foucault è affascinato, inquietato, coinvolto. Intuisce che questa non è semplicemente una rivoluzione, ma una sospensione della grammatica politica conosciuta. Un silenzio collettivo che urla.
Ciò che accade in Iran è un gesto assoluto, un dire “no” che non chiede nulla in cambio. Un dire no che non si trasforma in sì a qualcos’altro. Un preferirei di no che resiste al tempo, alla storia, alla ragione. Non è calcolo, non è pianificazione. È pura introduzione della soggettività dentro una macchina che non la prevede più.
La dimensione religiosa della rivolta – così poco comprensibile all’intellettualità europea – si carica di alterità. Foucault osserva. Prima con curiosità, poi con disagio, infine con un rispetto quasi sacro per quell’irriducibile ritornare sulla propria parola che è la preghiera che scardina ogni forma di comando.
Questa rivolta svela l’assurdità delle categorie politiche con cui il mondo moderno pretende di spiegare tutto: rivoluzione, progresso, ragione, Stato.
Il rivoltoso iraniano può morire in silenzio, al margine, senza aver scritto nulla se non la propria esistenza. Nel momento stesso in cui si ritira, prende la scena. Come una macchia su un foglio bianco, come una frase non scritta ma sempre presente: «Direi no».

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