Stephen Hawking e i «buchi neri» del capitalismo

donna coltiva con zappa


Stephen Hawking subisce un forte trauma quando, in giovane età, apprende di avere la malattia dei motoneuroni.
Alla domanda «Come si sente ad avere la sclerosi laterale amiotrofica?», la sua risposta è agile, non sembra ci avvolga in un vortice depressivo: «Non molto bene! Io direi che provo a condurre una vita il più possibile normale e di non pensare alla mia condizione, o di non rimpiangere le cose che essa non mi permette di fare, che non sono poi così tante».(1)
La consapevolezza di avere una malattia incurabile fa sorgere una forte sensazione di disagio, ma Hawking si è tenuto sempre distante dalle forme di auto-commiserazione.
Nonostante la nube nera che sovrasta il suo cammino, inizia ad apprezzare le piccole cose della vita, ottenendo una borsa di studio in fisica teorica.
Questo indirizzo di studi è un ambito dove si sente al sicuro e non percepisce il suo svantaggio.
È una fortuna che la sua reputazione scientifica cresce al peggiorare della sua invalidità. Ciò gli permette di continuare a fare ricerca, senza l’impegno di fare lezioni
Hawking parte dal presupposto che, ci piaccia o no, il mondo in cui viviamo è cambiato. Cambiato in peggio o in meglio? Questo è da valutare, da indagare. È impossibile fermare i cambiamenti, al massimo, possiamo rallentarne i ritmi.
Se accettiamo l’idea che, per esempio, non si può impedire alla scienza e alla tecnologia di modificare l’ambiente in cui viviamo, possiamo provare ad assicurare che i mutamenti sono nella direzione giusta.
Ciò implica che il pubblico abbia una comprensione di base dei fenomeni scientifici, in modo che le decisioni non vengano affidate agli esperti, in altri termini, ai nostri giorni, la società può definirsi democratica, quando consente agli individui di partecipare alle decisioni collettive, le quali sono troppo importanti, per essere delegate ai cosiddetti Esperti.
Cosa bisognerebbe fare, si chiede Hawking, affinché il pubblico sia attratto dalla scienza o quantomeno provi quell’interesse che gli permetterebbe di partecipare a prendere decisioni su temi come le piogge acide, l’effetto serra e il riscaldamento globale, le armi nucleari o l’ingegneria genetica?
Su quest’aspetto è perentorio e chiama in gioco, rivolgendosi alla società anglosassone, la scuola, precisando che l’insegnamento delle discipline scientifiche è arido e privo d’interesse e che gli studenti imparano pappagallescamente gli argomenti per ottenere un buon voto, ma non prestano attenzione, nella maggior parte dei casi, al mondo che ci circonda.
Sebbene le difficili condizioni di salute continuino a frapporre una serie di ostacoli nella comunicazione con l’ambiente circostante, Hawking ha la brillante idea di scrivere un libro, cercando di rendere fruibili concetti difficili e dunque traducendo il suo stile rigoroso di ricercatore, che usava complesse dimostrazioni matematiche, in un linguaggio indirizzato alle classi popolari.
La sua prima opera, «Dal big bang ai buchi neri» è un libro divulgativo sull’universo, manifesta il desiderio di spiegare quanto lontani ci siamo spinti nella comprensione dell’universo e quanto possiamo esserci avvicinati a una teoria completa per la descrizione dell’universo.
Ma la spinta di portare avanti il progetto subisce un duro contraccolpo, quando è colpito da una grave polmonite e per poter respirare è sottoposto a una tracheotomia che gli compromette l’eloquio. Perde la voce e per un periodo di tempo esprime il proprio pensiero attraverso la formazione delle parole, indicando le lettere dell’alfabeto che si trovavano in un tabellone, mediante le sue sopracciglia.
I pensieri del fisico non possono sparire nel nulla, diventano sempre più preziosi, man mano che il flusso trova ostacoli quasi insormontabili. SpeechPlus gli fornisce un sintetizzatore vocale che trasforma i testi in voce, successivamente, con l’aiuto del software Wordplus, messo a punto da Intel, riusce a formare 15 parole al minuto.
Il suo chiodo fisso continua a imperversare. Sente il bisogno di rendere accessibile «la comprensione delle leggi che governano l’universo.» (2)
È convinto che il funzionamento dell’universo eserciti un’attrazione di largo respiro, ma la maggior parte delle persone non riesce a capire le equazioni matematiche. Anch’egli sembra non esprimere particolare interesse per le equazioni, mentre tende a pensare in termini di immagini e il suo intento nel libro è quello di descrivere queste immagini a parole, con l’aiuto di analogie familiari e qualche diagramma.
Una volta tolta di mezzo la matematica, avverte Hawking, rimane il problema del come esplicare concetti che rimangono difficili, a seconda del quadro che vogliamo tracciare. Egli focalizza l’attenzione su due concetti essenziali: «le somme delle storie» e «il tempo immaginario». Il primo per dire che non c’è solo una singola storia dell’universo, ci sono diverse storie e ognuna di essa è reale. Il secondo funge, guarda caso, da supporto matematico del primo, gli dà un senso o l’imprinting matematico. Perciò, qualsiasi tentativo di evitare la matematica dalla porta, la fa entrare dalla finestra.
La curiosità del pubblico, nonostante il discreto successo che ha la pubblicazione del suo primo libro, gira intorno ai guai del fisico britannico. In tanti si chiedono: «Come può un uomo affetto dalla malattia del motoneurone dedicarsi al grande interrogativo sulle origini dell’universo?»
Anche qui la risposta di Hawking è concisa ed esce dal dilemma del prima l’uovo o la gallina: «L’universo non viene né creato né distrutto, esso semplicemente è». (3)
Per Hawking ciò che noi chiamiamo «realtà» è condizionato da un modello teorico. Egli sostiene che l’idea di spazio e tempo assoluti della concezione newtoniana, sembrano corrispondere al senso comune e alla «realtà», finché Albert Einstein non propone un modello più attraente, nel quale «il tempo non è considerato come completamente separato e autonomo, ma è combinato con lo spazio in un oggetto quadrimensionale chiamato spazio-tempo». (4)
Ci sono forti resistenze ad accettare l’idea che un modello teorico possa influenzare la «realtà», anche perché, se è vero, come dice Hawking, che molti studiosi della filosofia della scienza sono dei fisici falliti, in quanto non hanno dimestichezza con la matematica, è anche vero che tanti fisici teorici, dediti a una cultura scientifica specialistica, ignorano il tema affrontato da Hegel nella prima metà del XIX secolo e che, in qualche modo, si collega alla meccanica quantistica e al principio di indeterminazione.
Luca Illetterati, in una lunga intervista, ci spiega che l’approccio di Hegel è interessante, in quanto secondo lui la realtà non è avulsa da noi, in un certo senso «siamo parte della realtà e in questo farvi parte la determiniamo in un modo piuttosto che in un altro». (5)
Ma questo non significa che il soggetto sia padrone della realtà e possa plasmarla a proprio piacimento, per Hegel la realtà resiste a questa presa, a questa pretesa, non è pervasa dal modello teorico espresso dal soggetto, in altri termini, egli ci invita a cogliere le dinamiche interne, le relazioni che costituiscono le stratificazioni, ovvero le modalità in cui il reale (il mondo) prende forma.
A tal proposito, l’astrofisico britannico richiama un famoso esperimento mentale, noto anche come il paradosso del gatto di Schrödinger e il suo inizio assume un tono drammatico: un gatto viene chiuso in una scatola che contiene una pistola puntata contro di esso e una fonte radioattiva. Ma a scanso di equivoci, per tutti coloro che sono affezionati agli animali, è opportuno far presente che nella scatola non c’è nessun gatto! La pisola sparerà se il nucleo radioattivo decade ed emette radiazioni. La probabilità che si verifichi quest’ultimo evento è del 50 %, pertanto, prima di aprire la scatola, esiste un miscuglio di stato quantico del gatto vivo e del gatto morto. Solo quando si apre la scatola, si troverà il gatto morto o vivo. Molti ricercatori e studiosi, i quali si occupano della scienza o lavorano in campo scientifico, stentano a credere, ossia non accettano che vi sia una condizione per la quale il gatto possa essere metà morto e metà vivo, in virtù del fatto, come ci ricorda Hawking, che rimangono ancorati a una concezione classica della realtà, in cui l’oggetto ha una singola storia ben definita. Al contrario, nell’ambito della meccanica quantistica, la visione della realtà è diversa. In quest’ottica «un oggetto non ha solo una storia singola ma tutte le storie possibili». (6)
Per la meccanica quantistica la materia è formata da microscopiche particelle, se non riusciamo a stabile dove si trova una di queste particelle, esiste una probabilità statistica che essa si trovi in tutte le possibili posizioni e il suo stare ovunque crea uno stato di indeterminazione o super posizione, che collassa nel momento in cui viene osservata e misurata, in quanto si materializza in un’unica posizione definita. (7)
Nella fisica tradizionale ogni oggetto assume una posizione definita, se io metto un libro in un determinato scaffale della libreria, dovrei trovarlo esattamente lì, quando vado a riprenderlo, nella meccanica quantistica, invece, potrebbe essere in qualsiasi altro scaffale, qualcun altro, nel frattempo. avrebbe potuto prenderlo e portarlo in altro luogo, quindi c’è e non c’è, finché non verifico. Esso riappare, esiste, diventa reale, tangibile, solo quando lo blocchiamo in un determinato fotogramma. In base a questo modo di ragionare, ogni volta che osserviamo, misuriamo e rileviamo un determinato oggetto siamo noi a modificare la realtà.
Solo quando verifichiamo il contenuto della scatola, la super-posizione del gatto viene meno e si scioglie la sovrapposizione dei due mondi possibili, cioè l’ipotesi che il gatto possa essere vivo e morto allo stesso tempo.
Einstein, ironizzando sulla meccanica quantistica, afferma: «Dio non gioca a dadi». Einstein non accetterà mai quest’ultima teoria, per via del suo principio di indeterminazione e quindi dell’incertezza e della casualità che esprime, sin dai suoi primi passi.
Hawking, invece, asserisce che «tutto sembra indicare che Dio sia un giocatore inveterato e che non perda occasione di lanciare i dadi». (8)
Secondo la teoria della relatività generale elaborata da Einstein, il fatto che la massa sia sempre positiva comporta che lo spazio-tempo sia incurvato su se stesso, come la superficie della terra. Se la massa fosse negativa, lo spazio-tempo sarebbe incurvato alla rovescia, come la superficie di una stella.
In relazione a questi ultimi enunciati, spiega Hawking, tutti gli oggetti si muovono non in linea retta, ma seguendo la curvatura dello spazio tempo, che non è uno sfondo fisso. Anche la Terra cerca di muoversi in linea retta, ma poiché lo spazio-tempo è incurvato, distorto e non piatto, essa percorre una traiettoria quasi circolare, in virtù dell’attrazione esercitata dalla massa del sole.
La gravità dellaTterra ci attrae verso di essa anche da parti opposte del mondo, ecco perché le popolazioni che stanno ai nostri antipodi, pur essendo a testa in giù rispetto a noi, non cadono dalla Terra. Così la gravità del sole impedisce alla Terra di disperdersi nel buio interstellare e la mantiene nella sua orbita.
Può accadere, come osserva Hawking, che una quantità di materia incurvi a tal punto una regione dello spazio su se stessa, tanto «da farla rimanere isolata a tutti gli effetti dal resto dell’universo».(9) Tale regione si trasforma allora in un buco nero, nel quale possono cadere oggetti, ma da esso non può uscire niente. Per uscire dal buco nero è necessaria una velocità superiore a quella della luce, ma la teoria della relatività generale non contempla questa possibilità.
Insomma, la materia contenuta in un buco nero sarebbe intrappolata e collasserebbe verso uno stato ignoto di densità elevatissima.
Einstein è turbato dalle implicazioni di questo collasso gravitazionale e rifiuta questa possibilità. Tuttavia, nel 1939 – scrive Hawking – Robert Oppenheimer dimostra che una vecchia stella, con la massa doppia del sole, una volta esaurito il combustibile nucleare ha subito un collasso. Purtroppo, Oppenheimer è reclutato nel progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica, in un certo senso, il suo campo di ricerca è sviato e perde interesse per il collasso gravitazionale.
Questo sentiero di ricerca è riaperto proprio da Hawking e Penrose negli anni Sessanta del secolo scorso, quando dimostrano, «con una serie di teoremi, che la curvatura dello spazio-tempo su se stesso implica l’esistenza di una singolarità, luoghi in cui lo spazio-tempo abbia un inizio o una fine». (10)
La produzione divulgativa della teoria elaborata da Hawking subisce un’altra contrazione nel 2008, quando in seguito al progredire della degenerazione smette di utilizzare la mano e in queste condizioni riesce a scrivere solo una parola al minuto. È in quest’occasione che il Team dell’Intel sperimenta un sistema a raggi infrarossi collegati agli occhiali dello scienziato che permette di leggere il movimento dei muscoli della faccia. Molti tentativi di progettare un software in grado di leggere i suoi pensieri e tradurli in discorsi non andranno in porto, finché nel 2013 è messo a punto un sistema di intelligenza artificiale in grado di predire in modo preciso la parola che Hawking vuole esprimere, partendo da una singola lettera dell’alfabeto.
La vita del cosmologo inglese, rimanda un po’ al titolo del libro che ho selezionato, «Buchi neri e universi neonati», dato che un paio di volte sprofonda nel buio della morte annunciata, per poi riemergere, sotto una nuova luce e come appendice delle macchine.
Con l’aiuto delle macchine e delle persone che esprimono affetto per la sua menomazione fisica, nonché interesse per lo sviluppo delle sue teorie scientifiche, si solleva dal baratro in cui è precipitato.
Nell’osservare queste sue estreme condizioni di vita, molti intervistatori pongono, con sfaccettature diverse, la stessa domanda: «Cosa ti spinge ad andare avanti?». La sua risposta è chiara e sintetica: «A parte il supporto di familiari e amici – aggiungo io – traggo linfa dal mio lavoro e dal mio senso dell’umorismo».
In queste circostanze, s’impone una certa dose di leggerezza nel vivere un problema grave e costante, ma, come sottolinea Hawking, è importante non arrabbiarsi, «a prescindere da quanto possa essere difficile la vita, perché puoi perdere tutta la speranza se non impari a ridere di te stesso e dell’esistenza».(11)
Infatti, egli si prende in giro per la voce metallica e l’accento americano del suo sintetizzatore vocale, ma reagisce con veemenza alle provocazioni dello showman inglese John Oliver, quando gli dice che un computer si era impadronito della sua voce. Hawking gli dà dell’idiota, e alla replica dello showman, che chiede se sia stato lui o il computer a proferire una tale sentenza, la sua risposta è incisiva e spiazzante: «Entrambi».
Tutto ciò per dire che il recente dibattito, avviato sui danni e i rischi derivanti dall’applicazione dell’IA alla riproduzione del linguaggio nella più evoluta piattaforma GPT-4, forse, non tiene conto dei rapporti co-evolutivi tra gli esseri umani, la scienza e la tecnologia e soprattutto occulta i titolari della proprietà delle piattaforme, delle macchine e dei percorsi di ricerca e sviluppo connessi. Dietro a ChatGPT-4 c’è Musk, ci sono le sue montagne di dollari – Impastato direbbe: «Ci sono le sue montagne di sterco!» e la tracotanza dei capitalisti. Pertanto gli sconvolgimenti epocali, a cui lui accenna e che attribuisce all’utilizzo dell’IA, sono piuttosto una conseguenza del modo di appropriazione di queste risorse. Altman, il capo di OpenAi, ammette che è un po’ spaventato da questa «nuova creatura», ma l’analisi di Hawking, da questo punto di vista, è dirimente e guarda lontano, infatti, in un convegno sulla robotica, qualche anno prima di morire, perviene alla sottile sintesi che «dovremmo avere paura del capitalismo, non dei robot». (12)
Egli riconosce, individua e descrive uno dei «Buchi neri» più inquietanti del capitalismo: se la ricchezza prodotta dalle macchine non verrà condivisa, la maggior parte delle persone (proletariato e soprattutto sottoproletariato, che si sta ingrossando sempre di più) saranno attratte nel processo di immiserimento che è già possibile delineare ai nostri giorni. E sottolinea, tra l’altro, che i proprietari delle macchine robotiche formano una borghesia elitaria che si appropria della ricchezza prodotta, senza creare, nel contempo, posti o occasioni di lavoro per i lavoratori in carne e ossa.
Il lettore sagace potrebbe dire: «è una predizione di Hawking!» Beh, allora, proviamo ad aprire la scatola (cranica)!
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(1) S. Hawking, Buchi neri e universi neonati, RCS Libri S.p.a., Milano 1997, p. 39.
(2) Ibidem, p. 59.
(3) Ibidem, p. 61.
(4) Ibidem, p. 71.
(5) Intervista a Luca Illetterati, a cura di Alberto Gaiani, La realtà. Hegel oggi, 03/06/2020, https://www.leparoleelecose.it
(6) S. Hawking, Op. Cit., p. 71.
(7) Camilla Ferrario, 07/08/2022, https://www.geopop.it/paradosso-del-gatto-di-schrodinge
(8) S. Hawking, Op. Cit., p. 77.
(9) Ibidem, p. 83.
(10) Ibidem, p. 84.
(11) Intervista al The Radio Times
(12) S. Hawking: Dovremmo aver paura del capitalismo, non dei robot: l’avidità degli uomini porterà all’apocalisse, Redazione di HuffPost, huffingtonpost.it

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