I benefici di una moneta locale (nel Medioevo)

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Attorno al IX secolo la maggior parte dell’Europa rinunciò alla monetazione ufficiale in oro. Ai tempi di Costantino, nell’Impero romano, circolava il Solidus, una moneta di oro massiccio (soldo). Il Soldo, con il nome di Nomisma e poi di Iperperon, sostenuto dall’impero bizantino, rimase in circolazione fino alla comparsa e all’affermazione del Fiorino, rappresentando la base monetaria del commercio Inter-regionale (estero). Dunque, l’Oriente mantenne una moneta d’oro, con un valore pressoché stabile per circa 700 anni, mentre l’Occidente, nella Gallia Franca, nella Gallia carolingia e a poco a poco dappertutto, adottò un sistema quasi esclusivamente argenteo. Tracce di questo fatto sono presenti oggi in Francia dove il nome del denaro è appunto Argent.
Nonostante la conversione all’argento, in Occidente il Soldo continuò a circolare. Il Soldo, scrive Marc Bloch (Lavoro e tecnica nel medioevo), esisteva come unità di conto. Si trattava ancora in soldi, ma il pagamento avveniva in denari, secondo un rapporto generale, non però valido in tutti i paesi, di un soldo per 12 denari. Allo stesso modo quando si prevedeva un pagamento in natura, si parlava di un soldo di grano o di un soldo di cacio.
La debole o nulla monetazione in oro, dice Bloch, era forse dovuta al fatto che l’oro circolava sotto forma di monete straniere. In Occidente circolavano il Bisante (o Bezant in Francia), la moneta Bizantina, appunto; il Mangon o Mancuso (Mancusus in latino), moneta in oro araba (il Dinar manqus); il Marabbottino, una moneta d’oro nordafricana (Almoravidi).
Tra il 700 e l’800 i tributi erano pagati in Mancusi. Il Mancuso circolava dappertutto, dall’Inghilterra all’Italia, e in Mancusi venivano contabilizzati Testamenti e Donazioni, Tasse eccetera. Le monete d’oro bizantine erano più rare, ma anch’esse erano presenti.
Nel medioevo, dice Bloch, era frequente che la moneta di conto, menzionata nei prezzi, fosse distinta dal mezzo di pagamento, mentre il pagamento avveniva in merci dovutamente stimate. Oppure si contrattava in oro, e poi si pagava in argento. Roma, che preferiva l’oro per le tasse imposte ai monasteri, fissava la somma in Bisanti, Mancusi o Marabottini. Ma di solito doveva accontentarsi di ricevere argento, secondo un’equivalenza che tendeva a diventare tradizionale.
I piccoli e medi pagamenti – tributi, salari, acquisti correnti – erano di gran lunga i più frequenti. Tra questi, dice Bloch, quelli che non si limitavano allo scambio di merci, si facevano esclusivamente in argento. L’elevato valore delle monete coniate in oro, le rendeva inadatte alle transazioni minute. Nel 1215, Giovanni Senzaterra, non certo sfornito di oro, fu costretto a contrarre un prestito per procurarsi moneta minuta con cui pagare i suoi mercenari.
Accanto a questi pagamenti correnti, che avvenivano in argento, esistevano pagamenti ingenti in oro, che di solito avvenivano tra mercati distanti.
Siamo in presenza di un bimetallismo, ovvero di due monete, una a uso interno e un’altra a uso Inter-regionale. Con l’argento, la moneta più instabile, sempre manipolata, talvolta svalutata ad arte, per scaricare su determinate classi interne i maggiori costi sostenuti sui mercati internazionali o, semplicemente, per spostare ricchezza da chi era limitato all’argento (classi inferiori) a chi poteva contrattare in oro (classi alte); con l’argento, dicevo, si regolavano i commerci interni, mentre con l’oro si regolavano i commerci esteri. Non per ciò la moneta forte mancava di essere usata internamente, in quei contratti nei quali la classe maggiore, che l’imponeva, era creditrice verso le classe minore. Dunque, le condizioni economiche si opponevano allo stabilimento di un corso stabile dell’argento su mercati abbastanza estesi. Gli interessi dei principotti locali, che pagavano in argento la maggioranza dei funzionari e soprattutto le loro truppe, li spingevano a valutare questo metallo in maniera troppo alta in rapporto all’oro, come confessava candidamente in re di Sicilia. Trattandosi di uno strumento manipolato e usato per rapinare le classi subalterne, esso non poteva diventare un mezzo di scambio Inter-regionale.
Tolta la ragione di convenienza, ovvero pagare con un moneta debole ed essere pagati con una moneta forte, è probabile, dice Bloch, che la penuria d’oro sia dovuta al fatto che l’Occidente importasse più di quanto esportasse. Ma la bilancia non era così deficitaria come si è voluto talvolta credere. Dunque, dice, né la bilancia commerciale, né la penuria di oro (esaurimento delle miniere) da sole spiegano la scarsa monetazione in oro.
Bisogna considerare infine un altro fatto: la falsificazione delle monete estere. Se per più di tre secoli, dice Bloch, non esistette monetazione in oro su tipi indigeni, esistette invece una monetazione di contraffazione, non opera di falsari, ma di principi.
La falsificazione non si spiega soltanto con la possibilità di alterare il titolo in fino. Lo stesso risultato si poteva ottenere mediante la tosatura delle monete originali. Il fatto si spiega con ciò, dice Bloch: perché la moneta venisse universalmente accettata, era necessario un marchio che, per monti e per valli, fosse capace di rassicurare i mercati di diverse razze. La folla dei principotti che in Occidente esercitava il diritto di zecca spesso era così deboli e così povera da non essere in grado di dare questa assicurazione. Nonostante si possedesse dell’oro, ci si doveva affidare al marchio e alla garanzia offerta dagli iperperi imperiali, la cui stabilità era ammirevole, oppure ci si doveva rimettere a dinari delle opulente monarchie arabe. Se i principi cattolici volevano partecipare ai benefici di questa monetazione, la loro sola risorsa era il plagio. Certo, dice Bloch, le copie non erano sempre tali da trarre in inganno, e talvolta non erano nemmeno fatte per trarre in inganno; ma esse prendevano posto nella serie monetaria alla quale era collegato tradizionalmente un determinato negozio.
Ogni moneta si fonda sulla fiducia: e quindi, in larga misura, sulla consuetudine. Quando una zecca medievale teneva a dare alla sua emissione un largo corso, l’uso costante era quello di prendere per modello una moneta già diffusa, o almeno familiare nel paese con cui si voleva trafficare.
La cessazione in Occidente della coniatura dell’oro secondo un tipo nazionale, dice Bloch, non fu, propriamente parlando, l’effetto di una bilancia commerciale sfavorevole. Per quanto senza dubbio il deficit fosse sensibile, esso non era mai stato tale da sfociare in una fuga, senza remissione, dal metallo. Essa si spiega piuttosto per un’insieme complesso di cause, di ordine al tempo stesso economico e più particolarmente, sociale: il rallentamento degli scambi che veniva a confinare l’oro, di valore troppo considerevole per i pagamenti correnti al ruolo di strumento eccezionale e sovra-regionale; la povertà, il frazionamento e la cattiva amministrazione degli Stati che emettevano monete, le zecche dei quali erano ben lungi da ispirare una universale sicurezza, indispensabile a una moneta di così larga diffusione.
La cessazione della coniazione in oro, dice Bloch, traduceva una condizione dell’economia mondiale che oggi, dopo tanti secoli in cui l’equilibrio dei piatti delle bilance si è invertito, facciamo fatica a rappresentarci: il dominio economico esercitato sulle società latine o germaniche da parte delle loro più ricche vicine di bisanzio o dell’islam Mediterraneo – come se, ai nostri giorni [1947], la crisi monetaria dell’Europa essendo stata spinta all’estremo e supponendo scomparsi i pagamenti mediante tratte, non fosse possibile, da luogo a luogo, che un pagamento in dollari contanti, autentici o contraffatti.
È significativo, dice Bloch, che Genova e Firenze, grandi esportatrici com’erano, siano ritornate a battere moneta d’oro prima di Venezia; non che quest’ultima fosse meno ricca, ma essa comprava dall’Oriente più di quanto vendesse, e pagava in oro e vendeva in argento.
Nel periodo di affermazione di Firenze e Genova (XIII secolo) cambia anche la geografia del Mediterraneo. La maggior parte della Spagna fugge dal controllo moresco e gli Stati musulmani che restano non hanno importanza economica.
Anche la potenza economica di bisanzio si era attenuata. Verrà il giorno, nel secolo XVI, dice Bloch, che si potranno vedere gli iperperi accettati soltanto in base al loro valore in Ducati. Piccolo particolare di contabilità mercantile, in apparenza, sintomo in realtà eloquente dell’avvenuto rovesciamento dell’equilibrio economico mondiale.
Dal XIII secolo in poi, tutti, da Firenze a Genova, coniarono proprie monete di oro. Costretti a regolare in oro le operazioni che facevano all’estero, i mercanti, nel caso nel loro paese non disponessero che di monete d’argento, subivano delle forti perdite nel cambio, che gravavano a loro volta sui consumatori.

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