Il prestigioso settimanale tedesco Der Spiegel (spiegel.de) in prima pagina piazza un articolo su (cito) uno dei più importanti filosofi europei, Giorgio Agamben. La menzione è stata guadagnata perché in questi giorni, in Germania, il filosofo nostrano ha avuto un picco considerevole di notorietà popolare, dovuta a un altro giornale, il Demokratischer Widerstand, distribuito in circa 300 mila copie, dal Centro di comunicazione per la resistenza democratica.
Sul numero del 17 aprile di Demokratischer Widerstand, in una striscia appena sotto la testata, si dice che il giornale è diretto da Lenznselm Lenz, Batseba N‘diaye e Hendrik Sodenkamp, con il Prof. Giorgio Agamben. A pagina 6 dello stesso numero c’è un articolo di Agamben,
«L’invenzione di un’epidemia». Si tratta, come si legge in una nota redazionale, di un articolo di Agamben pubblicato il 21 marzo da un altro giornale tedesco (rubikon.news) e che Agamben, co-direttore di Demokratischer Widerstand (ecco la notizia), ha scritto (in italiano) il 26 febbraio, e pubblicato su quodlibet.it e sul Manifesto.
In queste ultime settimane, in Germania, l’editore del Demokratischer Widerstand (DW) è stato al centro di molte polemiche. Secondo Silvia Stöber, di tagesschau.de, DW diffonde panzane sul 5G kills, sul vaccin terrorism, su Bill Gates, eccetera. In Germania c’è un Regime Horror che tiene i cittadini sotto una morsa di spavento e terrore, e questo regime, dice Silvia Stöber, è documentato proprio da DW.
Sono temi, questi, da noi ormai esausti, tanto che i giornalisti seri hanno ricominciato a parlare di proporzionale col doppio turno – senza sbarramento.
Secondo br.de, la Bayerischer Rundfunk, TV pubblica locale bavarese affiliata ad ARD, i teorici della cospirazione, di destra e di sinistra, i quali manifestano contro le restrizioni dei diritti fondamentali e della libertà personale imposte dal Governo a causa del Virus, si rifanno a Agamben. I loro precetti (le loro panzane) si basano sulle idee e le dichiarazioni del filosofo italiano Giorgio Agamben, quarto membro del comitato editoriale di DW.
Il Virus sarebbe un’invenzione, orchestrato da politica, stampa e grande Capitale, per salvare e riorganizzare il capitalismo dopo il collasso del 2007.
In effetti, il pensiero di Agamben, affilato quando si tratta lanciare la sfida al Potere e al Capitale, si presta assai bene a descrivere ciò che sta succedendo. Quando Agamben scrive (quodlibet.it 2 maggio) che la scienza è la religione del nostro tempo, alla quale gli uomini credono di credere; che nell’Occidente moderno convivono tre grandi sistemi di credenze, il cristianesimo, il capitalismo e la scienza, come dargli torto. Come dargli torto quando dice che la scienza non è fatta per comprendere, ma per prendere posizione, come in guerra, e che questa guerra è combattuta in nome e per conto della borghesia che spaccia falsi miti di progresso.
In prima linea non c’è la scienza, che tutto sommato è teologia innocua, ma c’è la medicina, ovvero un sapere pratico, capace di manipolare i corpi. La medicina segmenta il trattamento, come in una fabbrica di spilli, dove la mano destra non sa cosa fa la mano sinistra, e, a sua volta, essa si frammenta in innumerevole discipline e siti logistici, pubblici e privati, e, in una divisione del lavoro fordista, tratta come semilavorati porzioni di corpi nudi, e attacca arti e organi, con un’ignoranza costruita della totalità organica. Adopera tecnologia e dispositivi, farmaci e bisturi, primari e infermieri, OS e compagnia cantante, e sperimenta la propria arte sulla pelle della gente, ammantandosi, per sovrammercato, di una cogenza universale garantita dal diritto. Ebbene, questa medicina, trasforma l’intera esistenza in un obbligo sanitario. Come dargli torno visto che abbiamo ancora negli occhi le immagini di illustri scienziati e medici sparare cifre a casaccio, manco fossimo alle estrazioni del Lotto.
E tuttavia, come non vedere nel Pensiero di Agamben l’assonanza, se non la summa, di anni e anni di new age, di medicina alternativa, di oroscopo e tisane, di echinacee ed erba cipollina, di astrologia e cerchi nel grano, di scie chimiche e onde elettromagnetiche, di sacralità del feto e della madre; come non leggere in questa poetica libertaria la frenesia del liberismo, quel tana liberi tutti, seguito alla grande eccitazione libertaria degli anni Sessanta, frenesia che ci ha liberati da un presunto totalitarsimo e dello Stato sociale e ci ha consegnati mani e piedi al neo-liberismo. Come non vedere che la cura libertaria ha finito per uccidere il cavallo; come non vedere che quando si riduce tutto a volontà e decisione, a presa di posizione e guerra, quando ci si convince, spassionatamente e con un certo disincanto, che la ragione del più forte è sempre la migliore, quando si perde ogni punto resistenza, il risultato è scivolare, piano piano, senza accorgersene, verso ciò contro cui si crede di credere di combattere. Se tutto è credenza e tiramento di culo, se non ci sono fatti, ma solo interpretazioni, cosa distingue ciò che dice Agamben da ciò che dicono i terrapiattisti – se non la mera forza persuasiva del discorso, la retorica, la narrazione, in uno strologare in cui tutto sembra scivolare in una guerra civile mondiale retorica, combattuta all’ultimo sangue davanti alla macchinetta a gettoni del caffè.
Se non c’è alcun principio, alcun fondamento e alcun centro di ancoraggio assoluti, cosa distingue la scienza dalla magia, l’oroscopo dalla statistica, il malocchio o lo scongiuro dalla medicina, il vaccino dalla tisana, la preveggenza dall’epidemiologia, il surplus dal plusvalore, lo sfruttamento dalla mera costrizione? Questa non è solo la babele del Capitale e del Potere, è la babele del pensiero debole, del post-modernismo, della fine dei grandi racconti, di cui Agamben è erede e prigioniero politico – il mondo che vede e descrive è quell’angolo di cielo intravisto da dentro la sua torre d’avorio.
È molto più consolatorio pensare che dietro tutto ci sia il Potere, o un Risolutore, perfino un Dittatore. È molto più rassicurante immaginare che dietro le quinte ci sia il Potere, che immaginare che dietro tutto ci sia il Caso. Il Potere si sa come combatterlo. Il Caso, invece, destabilizza, pone fine all’illusione del controllo, o, e questo per qualcuno è ancora più grave, pone fine a quel potere che si esercita dalla cattedra e fuori dalla cattedra, sul piccolo o grande esercito di fedeli e di followers.
Agamben nega di essere mai stato direttore o condirettore, o uno della banda dei 4 che ha scritto, diretto e organizzato la diffusione del giornale tedesco. E Der Spiegel lo riporta a chiare lettere.
Il suo Pensiero va valutato per ciò che in esso vi è di veramente filosofico, e non per le strumentalizzazioni a cui è sottoposto. Ma io non sono capace di questa impresa, e poi è arrivata l’ora di timbrare, e fare cose non con le parole, ma con le mani. Dunque, lascio spazio a Derrida, che di parole e di cose ne sapeva tanto quanto Agamben.
Il fatto è, dice Derrida (seminario all’EHESS, dal 2001 al 2003), che Giorgio Agamben è un gran trombone. Non solo pretende, ogni tre per due, di essere stato il primo ad aver notato o scoperto che questo o quell’autore classico, per la prima volta, e fino in fondo, avrebbe detto o scoperto questa o quella differenza specifica. Ma lui stesso – Giorgio Agamen – sarebbe stato il primo ad aver scoperto o notato questa o quella differenza, in Hegel, per esempio, o in Heidegger, in Lévinas, eccetera. Sarebbe stato il primo ad avere integrato e corretto, dunque sarebbe stato il primo in tutti i sensi – nonostante i libri di Heidegger, noti a tutti, per esempio Introduzione alla metafisica – sarebbe stato il primo, integrando e correggendo Foucault e la sua Volontà di sapere, a parlare del bio-potere e di bio-politica. E che lo avrebbe fatto in modo più originale e convinto se Aristotele non avesse parlato di Politicòn zôon.
Cito i testi di Agamben, dice Derrida, perché sottolineano perlomeno l’attualità dei problemi e delle preoccupazioni che sono qui le nostre che perché li comprenda (confesso di dovervi spesso rinunciare). Cito Agamben e Foucault senza aver prima notato che né l’uno né l’altro si riferiscono, come credo sarebbe stato onesto e indispensabile fare, all’Heidegger di Introduzione alla metafisica.
Quanti patemi ci saremmo risparmiate se Heidegger non avesse spedito ad Agamben quella cartolina!