Recensione (corta) di un libro (lungo) mai letto

angelus novus

Non si diventa saggi leggendo libri, ma leggendo gli uomini (Hobbes). L’autore, in maniera molto tradizionale (Platone, Fedro), crede che il passaggio dalla parola alla scrittura sia una forma di decadimento, una letargia, dunque un’esautorazione. E che Facebook, più del libro, sia un chiacchiericcio e un oblio definitivo della parola viva, una perdita di sovranità sul proprio voler dire, un vano turpiloquio, dove parole segnate senza cura e senza verifica delle fonti, si sommano a blocchi o thread di due, massimo, tre righe.
Per qualche giorno, scrive, ho preso in prestito il profilo della mia compagna, e vi ho spiati. Poi non ho resistito, e mi sono rassegnato a usare un social che non amo, ma solo per dirvi che vorrei incontrarvi guardandovi in faccia, che vorrei abbracciarvi tutti, invitarvi a casa mia, evitando che questo invito diventi un evento FB, uno spettacolo o qualcosa di simile.
Lo stesso giorno l’autore posta l’articolo di un suo compagno di università che, sul Corriere della Sera, recensisce il libro.
Onestà impone, scrive il recensore, che si avvisi il lettore circa il fatto che lui, il recensore, è un personaggio secondario del libro che sta recensendo. Mi sento parte del quadro che descrivo – scrive. Insegno letteratura comparata all’università, ma ho abbandonato la posizione classica del ricercatore. Non sono il pittore, non sono lo studioso o lo scienziato, sono una specie di controfigura, la quale, non potendo più fare il quadro della situazione, restituisce brandelli di senso, mozziconi di frasi che non sono più nemmeno il sintomo di un senso criptato, ma anelli di una catena di segni che non si ha più la pretesa di dominare.
Il giorno dopo l’autore posta il video di un’intervista alla Radio Televisione Svizzera, e poi la recensione di un giornale online fondato dalle stesse persone che popolano il libro, creando un corto circuito tra realtà e finzione che rende la lettura non facile, non fluida, non amichevole.
È un libro che non ti strizza l’occhio, scrive sul Manifesto un altro compagno di università. Non dice cose che vorresti sentirti dire prima di addormentarti – dice un compagno di studi in una presentazione del libro a Radio Rai. Non è un libro a cui ti aggrappi qua e là cercando un’ancora, un senso, una morale, anche iconoclasta, è bello proprio per questo – dice un giornalista che fa anche il ricercatore ed è quasi alla soglia della pensione.
Mentre ascolto la presentazione della Rai, sapendo già che non troverò mai il tempo di leggere un libro così lungo e intricato (288 pagine), la mente vola al 1990, alla Pantera e alla lotta contro la privatizzazione dell’università, agli anni passati insieme all’autore, senza conoscerlo, all’amico Caccia, che sfrattato dalla Città, si era rifugiato da parenti a Codigoro, e della Pantera si era perso lo spettacolo, e che quando nel 91 tornò voleva far entrare nelle nostre zucche vuote l’idea che rubare i libri dalle biblioteche pubbliche non è peccato.
Vivere storicamente non è possibile se non si scrive la propria storia su libri e riviste (Hegel, Filosofia della storia). Caccia, che aveva sputato sui libri e su Hegel, era destinato a sparire dalla circolazione e le sue gesta a cadere nell’oblio, anche se dalle macerie di FB spira una debole forza che spinge l’angelo della storia su cui il suo passato ha un diritto.

Articoli consigliati