Nel 1885/86 – frammento 1,61 – Nietzsche scrive che Ogni pensiero (e sottolinea Ogni pensiero), ogni sentimento, ogni volontà non nasce da un istinto determinato, ma è uno stato globale, una superficie completa di tutta la coscienza e risulta dalla determinazione momentanea di potenza fra tutti gli istinti di cui siamo costituiti – cioè tra l’istinto che domina al momento e quelli che a esso obbediscono o si oppongono. E poi aggiunge che il pensiero successivo è un segno del mutamento che è frattanto intervenuto in tutta la situazione di potenza.
Ecco perché, immaginare la Volontà, non la volontà di potenza, ma la semplice volontà, intesa come scaturigine del senso o dell’azione, è una falsa concretizzazione. Non c’è alcuna volontà dietro il pensiero o il sentimento.
Il fatto che il gatto uomo, aggiunge Nietzsche – 1,71, – cada sempre sulle sue quattro zampe, volevo dire sulla sua unica zampa «io», è solo un sintomo della sua « unità », o piuttosto « unificazione » fisiologica; non un motivo per credere ad un’«anima unitaria».
All’origine non c’è un io, e non c’è una coscienza o una volontà. L’origine non è unica. L’unico è sempre un effetto della struttura, ovvero delle forze e delle controforze che si misurano incessantemente. L’origine è multipla. Si potrebbe anche dire che l’origine è già una riproduzione. La produzione è già sempre una ri-produzione. Stabilire l’origine della produzione, per esempio della produzione capitalistica, immette sempre in un circolo, proprio per il fatto che l’origine è sempre multipla, è sempre divisa, è sempre più d’una, è sempre differita.
Alla fine del primo libro del Capitale, quando si tratta di chiudere il cerchio del suo discorso, anche Marx non può non notare come la chiusura immetta in un circolo.
Nelle sezioni e nei capitoli precedenti, si è visto, scrive Marx, come il denaro si trasforma in capitale, e come con capitale si genera plusvalore, e da plusvalore si genera più capitale. Tuttavia, l’accumulazione del capitale presuppone il plusvalore e il plusvalore presuppone la produzione capitalistica, ma questa a sua volta presuppone la presenza di masse considerevoli di capitale e forza lavoro nelle mani di produttori di merci. Perciò tutto questo movimento sembra aggirarsi in un circolo vizioso, dal quale si esce soltanto immaginando un’accumulazione «originaria» (previous accumulation, in Adam Smith) precedente l’accumulazione capitalistica, e che non sia il risultato del modo di produzione capitalistico, ma il suo punto di partenza.
Il capitale – il valore, il senso, il significato, quel che si vuole! – emerge da uno stato globale, risulta dalla determinazione momentanea di potenza fra tutte le forze in gioco – cioè tra il capitale che domina al momento e la forza-lavoro che a esso obbedisce o si oppone. E il valore successivo (capitale + plus-valore) è un segno del mutamento che è frattanto intervenuto in tutta la situazione di potenza.
Il capitale non è un’entità statica, una potenza che trova la sua misura in sé.
In sé il capitale non vale nulla. Fuori dal circuito della ri-produzione (ammesso e non concesso che un tale fuori possa darsi) il capitale si svalorizza, si annichilisce. La finanza, quando immagina un capitale sottratto alle condizione della sua valorizzazione, manifesta il suo più ostinato nichilismo, il quale si affaccia con la chiusura degli stabilimenti, la disoccupazione di massa e le bolle finanziarie.
Nell’economia politica, continua Marx, la cosiddetta accumulazione originaria ha suppergiù la stessa parte che in teologia ha il peccato originale: Adamo dette un morso alla mela e così il peccato piombò sul genere umano.
Lo stesso schema viene applicato al capitalismo. In epoca da gran tempo trascorsa, c’erano da una parte un’élite industriosa, intelligente e soprattutto economa, e dall’altra una canaglia oziosa che dissipava tutto il proprio, ed anche di più.
La leggenda del peccato originale teologico, continua Marx, ci narra, è vero, come l’uomo sia stato condannato a guadagnarsi il pane col sudore della propria fronte, mentre la storia del peccato originale economico ci svela come mai esista della gente che non ha nessun bisogno di fare altrettanto. Non importa. Così avvenne che i primi accumularono ricchezza e i secondi finirono per non aver altro da vendere che la propria pelle. E da questo peccato originale datano la povertà della grande massa che, malgrado tutto il suo lavoro, continua a non aver altro da vendere che se stessa, e la ricchezza dei pochi, che aumenta senza posa benché essi abbiano ormai da gran tempo cessato di lavorare.
È noto che, aggiunge Marx, nella storia reale la conquista, il soggiogamento, l’assassinio per rapina, insomma la violenza, campeggiano. Nella mite economia politica, invece, ha regnato da sempre l’idillio: diritto e «lavoro» sono stati da sempre gli unici mezzi per arricchire, eccezion fatta, naturalmente, per l’anno di volta in volta «in corso». In realtà, i metodi dell’accumulazione originaria sono tutto quel che si vuole, fuorché metodi idilliaci.
L’economia politica non solo deve immaginare l’origine fuori dalla storia, ma deve anche immaginare il centro della struttura come immune alle leggi strutturali. Il centro da cui tutto deriva, da cui il capitalismo si origina, da cui la divisione si genera e le parti si dividono e si fronteggiano, e il capitale e il lavoro si costituiscono, non è esso stesso diviso, già in lotta, e il valore non è il sintomo di questa lotta, ma è – stando all’economia politica – è sempre e solo ciò che promana da una fonte, da un’origine, da un autore, da un Dio. Per l’economia politica il valore ha sempre a che fare con la teologia. All’origine c’è sempre un Dio, un semi-dio, un Genio, un visionario, un Bill Gates, un Elon Musk, un Linus Torvalds, un Mark Zuckerberg.
La cosiddetta accumulazione originaria non ha nulla di originario. E si produce di volta in volta ogni anno, compreso l’anno in corso, in cui la conquista, il soggiogamento, l’assassinio per rapina, insomma la violenza, campeggiano, e senza i quali non ci sarebbe alcuna accumulazione originaria, ovvero capitale+plusvalore.
Non solo il valore è un sintomo della lotta tra capitale e forza-lavoro, ma il valore si riordina e si rianima sempre a partire dal futuro, sempre a partire dalla lotta. Tutta l’immensa struttura produttiva – il capitale morto – è valorizzata dal capitale vivo. I capannoni e i macchinari si valorizzano a partire dal futuro, il valore non viene dal passato, dall’accumulazione. Non c’è nessuna accumulazione originaria. Non c’è un capitale finanziario, non c’è un capitale umano, non c’è un capitale di conoscenze accumulato, conservato, stipato come riserva. Non c’è riserva di capitale. Come non c’è inconscio in quanto magazzino di ritenzione psichica [Freud, Note sul notes magico]. Non c’è Genio come bagaglio culturale, o dotazione naturale. L’accumulazione si ordina a partire dal futuro. È sempre il lavoro attuale, è sempre la dinamica eventuale di forza-lavoro e capitale a valorizzare il capitale morto. Tutto il capitale accumulato nel passato, e il passato stesso, acquistano valore da ciò che emergerà dall’ingaggio di capitale e forza-lavoro. [Similitudine con il tempo in Heidegger]
La cosiddetta accumulazione originaria – l’origine – si origina a partire da questa possibilità futura. Dalla possibilità dell’ingaggio di forza-lavoro e capitale. Non c’è nessun presente – e nessun passato – per il capitale, senza questa lotta futura.
L’idea che l’accumulazione si origini dal passato, e che nel passato, come nota Marx, questa accumulazione sia già bella e fatta, che sia contenuta in un germe, in un seme, in un atomo, in una testa, in un’idea, in un genio, eccetera, e aspetti solo di avviarsi, di essere messa all’opera, di trasformarsi in start-up, in azienda, in business, è una bella robinsonata. Così come è una robinsonata capovolta l’idea che non vi siano autori, che il valore non abbia nulla di singolare, di personale, di unico, che non vi siano fatica e sforzo e consumo di muscoli e di ossa, e che questi muscoli e queste ossa siano qui, e siano miei; l’idea che tutto sia struttura, che non vi sia soggetto, che non vi sia autore, e che la ricchezza sia sempre la nostra, la mia, anche quando non ho fatto nulla per concorrere a produrla, perché questo nulla e questo essere qui è già da sempre messo all’opera dalla struttura, frutto della struttura, frutto che cade dal cielo.