Le Lezioni di Napoleoni sul capitolo sesto inedito di Marx

napoleoni

 

Nella primavera del 1971 Claudio Napoleoni tiene alcune lezioni sul Capitolo sesto inedito di Marx. L’anno successivo le Lezioni vengono pubblicate da Boringhieri. Riscuotono quasi immediatamente un grande successo, tanto che nel 74, 75 e 79 vengono ristampate. Poi cala il sipario. L’edizione del 79 si trova ancora in vendita nel 1990.

Il testo pubblicato, che riproduce la trascrizione delle lezioni tenute all’UniTo, è sorprendente, sia per la chiarezza, sia per il rigore filologico. Una vera rarità nel panorama della ricerca universitaria italiana. Leggerlo rende la sensazione di partecipare a un seminario. La sua influenza, meritata, si è estesa a tutta la galassia della sinistra radicale – marxista e non marxista. L’andamento ripetitivo, tipico delle lezioni universitaria, invece di appesantire la lettura, ha quasi un effetto ipnotico. Di più, suscita quella sensazione di stupore che solo le grandi opere riescono a suscitare.

Il tema del libro è riassunto in poche righe nella Lezione settima, dove Napoleoni dice che uno dei modi attraverso i quali Marx stabilisce la differenza tra la produzione capitalistica e altri modi di produzione è questo: che mentre altri modi di produzione sono indirizzati al consumo di qualcuno, viceversa la produzione capitalistica è produzione di ricchezza astratta, ossia ricchezza destinata a riconvertirsi in ricchezza addizionale; con la conseguenza che, mentre nel primo caso il valore-uso ha una rilevanza decisiva – proprio perché il processo è finalizzato al consumo -, nel secondo caso, il valore-uso diventa irrilevante, non in quanto scompare, perché questo naturalmente è impossibile, ma in quanto il valore-uso diventa un semplice supporto materiale per la ricchezza come tale. Ricchezza come tale, la cui espressione formale è il valore, che ha poi nel valore-scambio la sua necessaria rappresentazione o espressione fenomenica.

Cosa distingue il capitalismo da altre forme di produzione?

Nei modi non capitalisti il processo economico è finalizzato al consumo. La produzione ha come scopo il consumo del bene prodotto. Nel capitalismo, invece, il fine della produzione non è il consumo del bene prodotto, ma la ricchezza in quanto tale, l’aumento della ricchezza in quanto tale. In tutti e due i casi il ciclo si chiude in cerchio. Ciò che era posto all’inizio come scopo, si ritrova alla fine come risultato, nel risultato viene confermato lo scopo, nella fine si ritrova l’inizio.

Nella produzione non capitalista – che per comodità chiamo di auto-consumo – il fine deve essere presente già dall’inizio nella testa del produttore. Il pane deve prender forma nella testa del produttore prima di essere impastato con le mani. Allo stesso modo, nella produzione capitalista, la ricchezza deve già all’inizio essere nella testa del capitalista affinché possa ritornare nelle sue mani come ricchezza aumentata.

Sorvolo sulle complicazione, capitali, che riguardano l’inizio, soprattutto sul fatto che questo presunto inizio possa non essere semplice e immediato, come invece dovrebbe essere. Seguo Napoleoni, e suppongo, ma è un errore, che si possa iniziare supplendo il semplice e immediato con il progetto, che, per esempio, sia possibile per il capitalista porre la ricchezza in quanto tale, e non gli sia anche necessario, ma sin dall’inizio, mettere sul piatto una ricchezza effettiva.

Un inizio con la messa in conto di una ricchezza effettiva non è un inizio, in quanto la serie effettiva si allunga indefinitamente. All’inizio occorre porre un assoluto – un infinito – e non un relativo – o un finito -, anche se, senza un finito il processo non si avvierebbe. Ma di queste complicazioni parlerò più tardi, anche perché Napoleoni non le tratta mai. Dà per scontato l’avvio del processo. Si installa nella differenza tra uso e valore. Non sente il bisogno di tematizzarla. Non chiede da dove venga questa differenza. La assume come un ché di disponibile, a portata di mano – il che non è.

In tutte e due i cicli, e Napoleoni lo segnala timidamente, ci sono tre momenti. Il momento in cui lo scopo è posto in potenza – fase del progetto; il momento in cui si passa all’azione, in cui la potenza – la possibilità – si attualizza, diventa effettiva; e il momento in cui ciò che all’inizio era solo possibile, e che nel secondo momento è diventato attuale, viene superato: nel primo caso nel consumo, nel secondo caso nella vendita e nell’incasso del prezzo.

Il momento mediano, e anche in questo caso Napoleoni lo segnala senza troppa convinzione, non può essere annullato, soppresso, eliminato, anche se in tutte e due i casi, affinché il ciclo si chiuda positivamente, il medio deve essere superato. Superato significa che il ciclo non può chiudersi senza il medio e senza il passaggio dal medio. Non vuol dire solo che il medio è necessario, vuol dire che esso deve anche necessariamente essere superato – se si vuol chiudere il ciclo positivamente, il che non è scontato. In ogni caso il passaggio dal medio significa il passaggio per l’esperienza sensibile. Senza medio non si dà esperienza del possibile.

Nel caso dell’autoconsumo il ciclo inizia con 1) l’idea o il desiderio o il bisogno di produrre il pane, 2) transita per la produzione del pane effettivo, 3) si chiude con il consumo del pane, con la sparizione del pane e la soddisfazione del desiderio – il pane è diventato desiderio soddisfatto. Il pane non può essere annullato, poiché in tal caso non ci sarebbe nulla da consumare. Nel secondo caso il ciclo inizia con 1) l’idea o il desiderio di investire una dotazione di ricchezza, 2) transita per l’investimento effettivo in capitale costante e variabile, 3) si chiude con la vendita dei prodotti finiti e con l’incasso del capitale investito aumentato del guadagno – il capitale effettivamente investito, passato nel prodotto, si consuma nella vendita – la merce venduta (tolta) soddisfa il desiderio iniziale di veder aumentare la ricchezza. Anche in questo caso la merce non può essere annullata, perché in tal caso non ci sarebbe alcun ritorno economico. E non può non essere prodotta, perché solo il passaggio all’azione consente di realizzare un guadagno. È il lavoro mediano e servile che produce il valore.

In tutti e due i cicli il momento mediano rappresenta il passaggio dalla potenza all’atto, dal progetto al fatto. Non c’è modo di soddisfare il desiderio (potenza) senza passare all’atto. Come non c’è modo di aumentare il capitale senza passare dalla produzione. Il desiderio di poter aumentare il capitale senza passare dalla produzione deve rimanere insoddisfatto, oppure, deve mascherare il passaggio all’atto della produzione – il denaro che figlia denaro è la giustificazione perfetta di chi vuole occultare la produzione e la produzione di plusvalore.

Ultima cosa da notare, in tutti e due i casi, la produzione non è fine a se stessa, il fine della produzione è la soddisfazione del desiderio. Il desiderio si attualizza in pane, si fa pane, ma l’attualità del pane non è il fine, il fine è il pane mangiato, il pane tolto, superato, diventato desiderio soddisfatto, che era anche il fine posto sin dall’inizio. Il pane è il mezzo per soddisfare il desiderio.

È importante cogliere la struttura teleologica di questi due processi. In entrambi i casi il lavoro è servile. A governare la filiera è il desiderio. Sotto questo aspetto ha ragione Bataille quando dice che il lavoro, anche sotto il comunismo, è servile, e che solo l’assoluto (infinito) è sovrano, mentre l’atto, in quanto finito, è servo della negazione determinata.

Una ulteriore sottigliezza che Napoleoni evidenzia, sempre molto timidamente, è che il medio deve farsi carico di lasciar transitare il desiderio dall’inizio alla fine. Il medio ha sempre questa funzione servile. Non ha in sé il suo fine, il fine gli è esterno. Il fatto di essere strumento asservito a un fine è chiamato da Napoleoni alienazione. Sia nella produzione di autoconsumo, sia nella produzione capitalista l’alienazione è un passaggio necessario se si vuol realizzare (verificare) lo scopo posto all’inizio. Di più, non c’è modo di realizzare lo scopo senza questa uscita all’esterno. Anche nel caso del capitalismo, dove si ha di mira la ricchezza in quanto tale (ma cosa è una ricchezza in quanto tale?, dove stazione?, come si situa?), il valore-uso, dice Napoleoni, diventa irrilevante, ma non può essere soppresso. Se si vuole aumentare la ricchezza bisogna necessariamente passare dal medio (D-M-D’ – D-D’, maschera il passaggio dal medio). Ciò vale a maggior ragione nell’autoconsumo, dove il processo è indirizzato direttamente verso il bene-uso.

Dunque, la differenza tra la produzione capitalistica e tutte le altre, non risiede nel fatto che mentre nella prima si sperimenta l’alienazione, in tutte le altre l’alienazione è assente. Se per alienazione si intende il passaggio per il medio, l’alienazione c’è dappertutto. L’alienazione è il passaggio all’azione, il passaggio nel mondo, il passaggio alla storia. Non c’è storia senza alienazione. Anche qui lascio da parte la questione della differenza tra alienazione e cosificazione (reificazione). Ciò che mi interessa capire è se sia sufficiente il mero passaggio all’esterno, lo scindersi, lo sdoppiarsi, oppure se questo passaggio implichi qualcos’altro.

Il fornaio ha in mente di produrre pane per soddisfare un suo desiderio. Il progetto diventa pane impastato e infornato – pane effettivo.

Come fa il fornaio a riconoscere in questo oggetto il suo pane?

Non è sufficiente che abbia davanti un oggetto per così dire naturale – un bene-uso. Accanto all’uso deve sempre risuonare un valore, una legge.

Hegel chiarisce questo aspetto nella Prefazione alla Fenomenologia, e non ci ritorno su. Marx conosce bene questo argomento, e lo usa contro gli economisti classici. Quando si chiede agli economisti cosa sia il capitale, essi, dice Marx nel Capitolo sesto, senza vergogna, rispondono così: Il capitale è cotone. Dichiarano che la materia e il mezzo di lavoro, i mezzi di produzione o i prodotti usati per una nuova produzione, insomma le condizioni oggettive del lavoro, sono per natura capitale in quanto e perché, per le loro proprietà materiali di valori-uso, servono nel processo lavorativo, concludono, eterizzando il rapporto capitalistico, dicendo che ogni volta che ci sono strumenti materiali usati nella produzione c’è capitalismo.

Oro e argento, aggiunge, non divengono per natura denaro perché il denaro prende, tra l’altro, la forma di oro e argento, così la materia e i mezzi di lavoro non diventano per natura capitale perché il denaro, nel trasformasi in capitale, si converte nei fattori del processo lavorativo e perciò si rappresenta necessariamente in materia e mezzo di lavoro.

Il mero bene-uso non vuol dire niente, non è niente. Nemmeno per il consumatore. Non c’è alcun rapporto immediato tra bene-uso e consumatore o produttore, oppure tra auto-produttore o auto-consumatore. Bisogna sempre che fra i due si intrometta qualcos’altro.

Che cos’è questo altro?

Gli economisti classici, dice Marx, arrivano all’assurdo di scambiare un rapporto sociali di produzione che si rappresenta in oggetti, in cose, per una proprietà materiale, naturale di questi oggetti, di queste stesse cose.

L’errore degli economisti non consiste nello scambiare un rapporto sociale con un rapporto tra cose. Marx non dice questo. Dice che i rapporti sociali si rappresentano in cose, in oggetti, in beni-uso. Gli economisti classici considerano i rapporti fissati nelle cose, o queste stesse cose, come eterne. Questo è il loro errore. Le cose, assunte in questa loro eternità, non significano niente. Cadono fuori dal campo dell’economia politica.

Questo metodo di naturalizzazione, dice Marx, è un modo per trasformare il capitalismo in un elemento naturale, dunque eterno, dell’esistenza umana. E invece questo rapporto ha una storia, ha un inizio e avrà una fine.

Con lo stesso metodo usato dagli economisti classici, dice Marx, potrei dimostrare che Greci e Romani celebravano l’eucarestia perché bevevano vino e mangiavano pane. Il mero consumo, l’ingestione, non soddisfa il desiderio. È necessario che nel pane e nel vino si sia fissato un valore, è necessario che il bene di consumo sia, appunto, un valore-uso e non un mero bene-uso (ammesso e non concesso che un tale bene sia esperibile), che appaia, per chi voglia consumarlo, come un oggetto adatto a soddisfare il desiderio. Non è sufficiente che sia un oggetto sensibile, deve fare segno ad un ente sovrasensibile. Il pane e il vino sono sangue e corpo di Cristo. Come è possibile che un ente infinito – Dio, la legge, il valore, la sostanza, l’essenza, etc – esista in un corpo sensibile, cioè finito? Questo è il mistero di cui Hegel e Marx devono rendere conto.

Noto di sfuggita, ma tornerò sul tema, che a sventare la naturalizzazione si rischia di incappare nel suo opposto, ovvero la culturalizzazione. Anche in questo caso Marx è chiaro, e Napoleoni lo ha ricordato esplicitamente.

Nel passo della Lezione settima, Napoleoni riconosce questa complicazione. Il bene-uso non può essere eliminato, nemmeno quando l’obbiettivo è la ricchezza astratta, come è il caso del capitalismo, e non può essere eliminato, perché il bene-uso, dice, è il supporto per la ricchezza come tale. Non c’è modo per la ricchezza in quanto tale di avanzare nel mondo e nella storia, evitando di fissarsi un un bene-uso. L’economista classico (e anche il neo-classico) vorrebbe eliminare questo passaggio all’atto, perché, ma non lo discuterò qui, questo passaggio è molto insidioso, pieno di tranelli, aporie e sottigliezze metafisiche. Di tutti questi tranelli e sottigliezze Napoleoni riesce a cogliere alcune sfumature, senza trarne tutte le conseguenze. Per esempio, dice che la tecnologia capitalista non è un mero strumento. Non è vero, dice, che una volta sottratta allo scopo di riprodurre e aumentare il capitale, e adoperata in un sistema alternativo, per esempio sotto il Welfare state o sotto il Comunismo reale, possa tornare a funzionare in modo corretto. La cultura, dice Napoleoni, ma lo dice sotto voce, senza crederci troppo, la cultura, anzi, la conoscenza e l’attività cosciente, stanno nel soggetto lavoratore e l’attività meccanica sta nello strumento che viene adoperato, qui (cioè nello strumento capitalista – nella macchina), qui la conoscenza – e si potrebbe dire in maniera un poco metaforica (poi aggiunge), ma non del tutto metaforica, l’attività cosciente – sta nella macchina. In quanto la macchina è scienza, dunque pensa – è soggetto, nemmeno tanto metaforicamente, ma propria alla lettera – dice Napoleoni. Cosa vuol dire tutto ciò?, vuol dire che la macchina (ma qui per macchina abituiamoci a intendere ogni medio, dunque non soltanto ciò che abitualmente intendiamo per macchina. Intesa come la intende Napoleoni, anche una banconota è una macchina, anche un dipinto è una macchina, anche la scrittura contabile, dunque anche la cosiddetta moneta di conto, è una macchina, etc) la macchina non è segno (o significante), non è un supporto che trasporta un contenuto ideale che può sempre essere pensato o staccato dal supporto. La macchina non è un mero supporto. Di più, la macchina non è un supporto o un puntello per l’idea. La macchia è un simbolo. Prende la forma di ciò che significa, e ciò che significa – il significato – non è arbitrario, totalmente arbitrario, non è autonomo dall‘entità empirica che dovrebbe solo trasportarlo – non c’è un puro o un mero trasporto – dunque non c’è un puro e mero strumento che assumerebbe un senso a seconda del contesto dove viene trapiantato. Uno strumento può sempre funzionare, anzi deve poter funzionare, fuori contesto.

Il simbolo ha il carattere di non essere mai completamente arbitrario: non è vuoto, implica un rudimento di legame tra il significante e il significato. Il simbolo della giustizia, la bilancia, non potrebbe essere sostituito da qualsiasi altra cosa, per esempio un carro. La macchina, dice in soldoni Napoleoni, non è uno strumento – non c’è una strumentalità in senso proprio, il senso dello strumento varia da strumento a strumento, perché non c’è autonomia del significato strumentale dalla ferraglia o dai bit che lo incarnano. Il significato non può essere staccato dal supporto in cui è fissato senza perdere la sua forza significativa. Si tratta di una conclusione sorprendente che rende instabile tutta la serie di partizioni (natura-cultura, uso-valore, etc) messa in piedi per imbastire tutto il discorso o la critica dell’economia politica.

II

La lezione successiva, la numero 8, è dedicata alle macchine. Napoleoni parla della differenza che passa tra auto-consumo e produzione capitalista. Questa differenza serve per chiarire il ruolo della macchina.

In tutte le tecnologie in cui il capitale non è ancora intervenuto come elemento determinante, dice, il rapporto tra il lavoro e lo strumento di lavoro si presentava in questa forma: lo strumento di lavoro era il termine di mediazione tra il lavoro e la natura, cioè, dice, il lavoro agiva sulla natura per il tramite dello strumento di lavoro. Abbiamo dunque un termine iniziale, o attivo, che è il lavoro, un termine finale o passivo, che è la natura, e un termine intermedio, che è appunto lo strumento.

In questa descrizione della produzione di auto-consumo la struttura triadica è presentata chiaramente, rimane un po’ in ombra la natura teleologica del processo.

Nel primo momento (il momento attivo) si trova il lavoratore. Esso tende verso uno scopo, verso un fine, e questo fine non è la natura, come suggerisce Napoleoni. Il fine è la trasformazione della cosiddetta natura in prodotto.

Anche in questo caso bisogna applicare tutte le riserve suggerite da Marx ed evitare la naturalizzazione del rapporto dell’uomo con le condizione della sua riproduzione. Ma anche in questo caso non mi soffermo su questo punto. Segnalo che, intesa correttamente, la natura non è un elemento che cade, o possa cedere, fuori dalle intenzioni poste all’inizio dal lavoratore. La natura è sin dall’inizio intenzionata dal lavoratore. Non può darsi una natura che non sia già da sempre presso il lavoratore. Insomma, la natura deve, sin dall’inizio, sin nel progetto, apparire come bene atto a diventare prodotto. Deve già dal principio apparire, in potenza, il prodotto nel quale sarà trasformata. Vista sotto questa luce la natura non ha più nulla di esterno all’intenzione, non ha più nulla di quell’elemento al quale, appunto, la parola naturale si riferisce e conferisce un ché di eterno. La natura è già da sempre presa dalla storia, e già da sempre ripresa nelle spire della cultura. Sino al punto che la sua distinzione dalla cultura, distinzione che anche qui adopero, come se sussistesse una qualche differenza, e bisognerà interrogarsi a lungo su ciò che questa supposizione consente o sulla possibilità o meno della sua soppressione definitiva, sino al punto che, dicevo, questa distinzione non distingue più niente.

Tenuto conto di queste riserve, torno a Napoleoni, il quale mette bene in fila la sequenza dei momenti. Nella sequenza dell’auto-consumo, dice, ogni cosa sta al suo posto. Lo strumento è strumento in senso proprio.

Qual è il senso proprio dello strumento?, e lo strumento può mai avere un senso proprio?, oppure anch’esso deve essere considerato entro una struttura intenzionale?

Lascio in sospeso questa questione, anche perché dovrebbe essere evidente la risposta.

Nella produzione capitalistica la sequenza si modifica. Lo strumento non appare più in posizione mediana. In questo caso, dice Napoleoni, la macchina, o un sistema automatico di macchine, è il punto di partenza, o il lato attivo, del processo e del rapporto. Questo sistema di macchine, dice, agisce sull’oggetto, cioè sulla natura, e il rapporto delle macchine con la natura è mediato dall’operaio. Quindi, dice, l’operaio, che prima era in posizione iniziale o attiva, adesso si trova in posizione intermedia e perciò strumentale, al punto che la denominazione di strumento di lavoro applicata alla macchina risulta evidentemente impropria perché anzi è il contrario: è il lavoro dell’operaio che è diventato strumento di questo strumento.

Nella descrizione di questo ciclo ciò che interessa non è tanto il cambio di testimone nel ruolo di medio tra l’operaio e la macchina. Quanto il fatto che la macchina occupi la posizione attiva.

Quello che qui mi interessa non è tanto la posizione mediana – per così dire, alienata. Perché, come si è visto, l’alienazione c’è comunque, sia nella produzione di autoconsumo, sia nella produzione capitalista. Ciò che è interessante è il ruolo che la macchina assume in questa struttura, in quanto elemento attivo.

Una volta assunto nel processo produttivo del capitale, dice Marx, il mezzo di lavoro percorre diverse metamorfosi, di cui l’ultima è la macchina o, piuttosto, un sistema automatico di macchine, messo in moto da un automa, forza motrice che muove se stessa.

L’operaio, commenta Napoleoni, non è più colui che adopera determinati mezzi di produzione e li indirizza a determinati fini, ma l’operaio diventa l’organo di una cosa che si muove al di fuori di lui, di un sistema automatico, mosso da un automa.

Il fine non è più nella testa dell’operaio, ma è nella testa della macchina, la quale, preso il posto dell’operaio, indirizza il processo.

Nella produzione di auto-consumo lo strumento – la macchina – è animato dall’operaio, quasi fosse un proprio organo, una protesi. Nella produzione capitalistica la macchina, dice Marx nei Lineamenti, possiede abilità e forza al posto dell’operaio, è essa stessa il virtuoso, che possiede una propria anima nelle leggi meccaniche in essa operanti.

Prima di andare avanti è imporrante fare una precisazione. Nei due cicli economici che ho riassunto in precedenza (auto-consumo e capitalista) il momento dell’alienazione o della reificazione, qui la distinzione non ha molta importanza, è il momento mediano. All’inizio del ciclo (e anche alla fine) non troviamo alcun bene-uso, troviamo il progetto, l’idea, il fine, troviamo ciò che Napoleoni chiama l’astrazione, l’«in quanto tale».

Nel capitalismo, dice Napoleoni, il processo è diventato tale che il lavoro e la conoscenza sono separati, non stanno più insieme, e allora il lavoro è diventato una mera azione meccanica e la scienza è uscita fuori dalla soggettività di chi lavora; è stata pensata in luoghi diversi e, nel processo di lavoro, si trova presente non presso chi lavora, ma dentro una cosa, quale appunto è la macchina; questa è la caratteristica centrale del processo di produzione in quanto sia dominato dal capitale.

Per illustrare questa divisione tra sapere e uomo, e l’incorporazione del sapere in una macchina, Napoleoni ricorda alcuni passi dei Manoscritti del 44, dove Marx parla della condizione operaia come di una condizione di separazione di essenza e di esistenza. Il processo di produzione capitalistico, dice Napoleoni, conferma questo fatto.

Nel capitalismo, dice Napoleoni, l’esistenza, che Marx identifica con il lavoro come attività, è veramente separata dall’essenza. Cioè da che cosa? – chiede Napoleoni. Dalla razionalità, dalla conoscenza. Questa conoscenza non sta più presso chi lavora, ma sta fuori di esso, e nei riguardi di chi lavora si trova incorporata in una cosa, nella macchina, la quale – ha in sé incorporata la scienza – può dominare l’operaio.

Mentre naturalmente la conoscenza e l’attività cosciente stanno nel soggetto lavoratore e l’attività meccanica sta nello strumento che viene adoperato, qui, dice Napoleoni, avviene il contrario: la conoscenza – e quindi, si potrebbe dire in maniera un poco metaforica, ma non del tutto metaforica, l’attività cosciente – sta nella macchina, quanto meno perché essa è la rappresentazione di un momento di coscienza che ha avuto luogo quando è stata pensata la scienza che nella macchina si trova incorporata; e viceversa l’attività meccanica sta in chi lavora, che è ridotto a questo. Questa in senso proprio, stretto, specifico, niente affatto generico o allusivo, è ciò che si può chiamare l’alienazione operaia.

Napoleoni (seguendo o meno Marx) caratterizza l’uomo in modo tradizionale, opponendolo all’animale e alla macchina. La macchina non pensa, non ragiona. Quando nell’attrezzo viene incorporata un’anima e una legge, questo attrezzo non funziona più in modo naturale, viene pervertito. Questa perversione è l’alienazione, la quale si esprime in un rapporto in cui a pensare non è più l’uomo ma la macchina. A comandare non è più l’uomo, ma la macchina. Alienazione vuol dire per l’uomo assumere una posizione servile – strumentale.

La macchina, dice Napoleoni, incorpora la legge. La legge è l’universale incondizionato e semplice e immediato. Se la legge fosse un ché di mediato, troverebbe in quest’altro la sua ragione di essere, il suo principio, il suo inizio. L’inizio della legge non può contemplare niente fuori di sé. La legge è «causa sui». Niente può essere fuori di essa. Dunque non può esistere una parte (natura) che sia fuori di essa. Cosa vuol dire? Vuol dire che essa non ha in serbo alcuna possibilità, tutto ciò che poteva essere è. La legge è dunque eterna.

Un ente che non ha la possibilità di attualizzarsi in qualcos’altro non può stare all’inizio del ciclo. Non può avviare il ciclo. Non può consumarsi e passare nel prodotto.

Un ente infinito, non avendo altre possibilità fuori di sé, non può estinguersi. Solo un ente finito può estinguersi. Non avendo niente fuori di sé, la legge è libera, non è determinata da altro. La Legge non può niente, per essa è inammissibile che vi siano cose possibili che non siano realizzate. Ecco dunque spiegato il perché la legge, «l’in quanto tale», non può stare all’inizio del processo (né l’in quanto tale macchinico né l’in quanto tale umano). La ricchezza in quanto tale, la moneta fiat, per esempio, o il progetto in quanto tale, il fine in quanto tale, l’idea, ha bisogno, anche all’inizio del processo, di incorporarsi in una cosa – un uomo o una macchina – per avviare il processo. L’inizio è il punto mediano di un altro ciclo.

Questo è il quadro teologico entro il quale si muove Napoleoni. Lo scandalo deriva dal fatto che all’inizio, dal lato attivo, non ci sia più l’uomo, ma una macchina, una cosa. Ciò che è inammissibile e scandaloso è che al posto di Dio ci sia una cosauna macchina.

L’alienazione consiste in ciò, dice Napoleoni: che la scienza, che appartiene all’uomo, si separa dall’uomo e si incorpora nella macchina. La scandalo è costituito dall’incorporazione della legge in una cosa. La scandalo consiste nella riduzione di Dio a un simbolo – un vitello d’oro.

Si tratta di una caratterizzazione della scienza o della coscienza o dell’io teologica. Si tratta di una scienza che può «avere luogo» prima della sua «caduta», prima della sua espulsione nell’aldiqua

sensibile ed empirico.

Come nella teologia medievale, che determina la res come cosa creata a partire dal suo eidos, dal suo senso pensato nell’intelletto infinito di Dio, la tecnologia e la macchina sono pensate come derivate. Il Dio ciabattino avrebbe costruito nella sua testa la macchina prima di costruirla nella realtà. In questa teologia, la tecnologia è pensata come mediazione e caduta dell’idea nell’esteriorità.

Se nel capitalismo la macchina occupa (usurpa) il posto che fu di Dio e che ora è dell’uomo, ciò è scandalo e depravazione, pervertimento dell’ordine eterno – naturale. È scritto nella pietra che il lato attivo, ideale, teologico del ciclo debba essere occupato da Dio, e in sua assenza dall’uomo.

Oltre questo tratto teologico e idealista del discorso di Napoleoni, tale per cui all’inizio sta un Dio ciabattino; oltre a segnalare come questo tratto idealista passi in una parte dei marxisti italiani che si richiamano direttamente a Napoleoni; oltre a notare che tutta questa teologia, quando allude all’assoluto, presenta un aspetto consolatorio che ha assunto una diffusione pop; oltre a tutto ciò mi preme mettere in evidenza un tema che qui non posso approfondire. Solo un ente finito ha in riserva la possibilità di estinguersi, dunque solo un essere finito può porsi all’inizio del ciclo, ma un essere finito, per definizione, non è libero. Solo un essere finito può accendere un debito, può anticipare una somma, e lo può fare proprio in quanto può sbilanciarsi sul futuro, può protendersi e attendersi, e lo può fare solo alienandosi, sdoppiandosi tra un «da» e un «fort».

Il pane e il vino, dice Marx, non sono per natura corpo e sangue di Cristo. Lo diventano solo quando sono inseriti in una struttura intenzionale. Fuori da questa struttura, dice Marx, tornano a diventare pane e vino. Al ché Napoleoni obietta: Il corpo stesso del bene-uso, la sua stessa struttura materiale, ha il segno (qui sarebbe meglio dire le stigmate o le tracce) dell’altro che lo ha toccato o intenzionato. Sebbene queste tracce siano di diritto cancellabili, in quanto il bene-uso è finito; sebbene questa stessa finitudine lo renda atto ad avviare il ciclo (ma che avvio è un avvio da un finito?), questo bene-uso surroga l’infinito e si presta (dà senza aver ricevuto o senza aver niente da dare) a funzionare come valore-uso.

III

Le Lezioni sono diventate popolari per un altro tema noto come Argomento della sussunzione reale. Non mi soffermo su di esso, dico solo che ha offerto all’operaismo un’occasione formidabile per segnare una differenza tra chi stava con l’Operaio sociale e chi invece stava con il vecchio Operaio massa.

Infine viene trattato un altro tema, con una storia ancora più lunga e prestigiosa, il tema della Trasformazione dei valori in prezzi. Anche in questo caso la questione ha dato vita a scuole e partiti, all’interno e fuori del marxismo catalogato.

 

Articoli consigliati