«Io sono il potere» piccola recensione di un libro scadente

copertina libro

 

Sono il volto invisibile del potere. Frequentano la penombra della politica, delle istituzioni e di tutti i pianeti orbitanti. Industria, finanza, Chiesa. Compaiono poco e sempre dove non ci sono occhi indiscreti. Non li conosce nessuno. Non fanno parte di una classe. Ma di un clero. Una cinquantina di persone che tengono in piedi l’Italia, muovendone i fili dietro le quinte. Sono la continuità, lo scheletro resistente di uno Stato fragile, flaccido, storpio fin dalla nascita.
Bisognerà tornare su questa fragilità e stortura e sull’uso della metafisica come un taxi.
«Noi siamo servitori dello Stato, non di una persona o di una bandiera. Siamo Grand commis, non portaborse». Fumiamo il sigaro. Siamo i migliori, anche se ogni tanto ci capita di imbarcare un Marco Milanese qualsiasi. Uno sfigato di finanziere laureatosi a quarant’anni, scelto da Tremonti come capo di gabinetto.
Mai nominare un capo di gabinetto per amicizia o conoscenza. Tanto meno affidarsi al caso. Anche Togliatti ha voluto il più bravo, Gaetano Azzariti, anche se era un fascistone e le sue indiscusse qualità di gabinettista erano macchiate dall’ignominia di aver presieduto il Tribunale della razza per volontà del duce. Poi che c’entra, nel mercato del potere il curriculum conta solo per contribuire al disboscamento dell’Amazzonia. Decidono le relazioni, le affiliazioni, le convenienze, i crediti, i favori, le ruggini, i rancori, le intese, i cassetti aperti e chiusi. E saper giocare a paddle, dove la palla si batte solo da sotto. E i game finiscono a 40. E si può uscire dal campo per giocare la palla quando supera le barriere. E tutta sta paratassi che due marones. Per non parlare delle mignotte, delle scollature e delle minigonne, e dei telefonini e di WhatsApp, e di come si scrive un decreto cercando su Google, dei vernissage e degli scosci, della archivista, della staffista e stagista, e di tutte le stronzate e panzane che il popolino immagina che un «volto invisibile del potere» faccia quando è nella stanza del comando e può schiacciare i bottoni giusti.
Farsi portare il caffè dall’usciere, farsi accompagnare da un macchina di servizio con lampeggiante, fumare il sigaro. A pranzo al circolo della caccia. Occhiali d’osso? Occhiali d’osso! Pasteggiare a rigatoni, pecorino e uova sode. Tenere la metafora calcistica per 8 pagine. Poi passare alla metafora culinaria e tirare avanti per altre 7-8 pagine. Omaggi alla signora. Regalino per amiche meno petulanti delle consorti, sfigate, inutili. Amante ed ex allieva. La fidanzata di… Stagista alla camera. Vado a cercare notizie su Google. Prendo possesso come lo chef della cucina, impasto e mescolo. Quanto mi piace gestire la cucina! Anche se dopo lo stop di Sorrentino «cucinare» sempre tra virgolette. Imperio e sacralità o Arcana imperii. Leggiadria botticelliana o grande zoccola.
Si, devo confessarlo, a volte mi sento proprio uno chef. Mescolo. Regolo la fiamma. Aggiungo il sale. Ministra dell’ambiente con minigonna senza mutandine. Stivali in pelle. Bagasce a cinquine. Origlia mentre mangia. Crediti non onorati e favori ricambiati, donne contese. Notoriamente sensibile al fascino femminile. I segreti, le donne, gli amori, le audaci imprese, la citazione dozzinale. Una funzionaria con cui intratteneva una liason (LIASON) e che minacciava sfracelli familiari. Inorridire come una verginella, entrata per sbaglio in un privé.
Numero sconosciuto. Che faccio, rispondo?
Sfigato, inutile. Usciere, un altro caffè. Palude, trappola, spiate, infamate, dossieraggi. Tecnica del baco. Mignotte. Magro stipendio. Altre 30 pagine di paratassi. Rito orgiastico della timbratura. Parenti, amici, amanti.
Si deve chiedere, e non agli amici del bar del paesello. Ma a dirigenti ministeriali. Flavio Zanonato è Provinciale. Credevo che «provinciale» fosse da usare solo tra virgolette. Il centro è dappertutto ha stabilito lo Strutturalismo negli anni cinquanta, ergo la parolina va solo menzionata, e citare Oronzo Canà è ammesso esclusivamente come esempio di battuta brillante nel periodo del trash nei primi anni Novanta – dunque va solo menzionata. Forse è un errore tipografico o è tornato di gran moda Bacthin. Fumare il sigaro – tra virgolette: menzione di vecchi film americani anni 50 e dei tardivi b-movie (anche b-movie tra virgolette) di Tinto Brass. A pranzo al circolo della caccia. Occhiali d’osso. Ho lavorato il 24 dicembre. Tutti lavorano il 24 dicembre. Immacolata: mezza Italia a sciare, e io a scrivere decreti. «Mezza» non bollinato dall’ISTAT.
Ci si ritrova in cucina a fare decreti. Tradimento di lui con un cameriere indigeno. Tradimento omo in viaggio di nozze, se si viene a sapere è un disastro. Segreti che annoiano anche a Chi. La confidenza arriva da un altro funzionario, a cui l’ha riferito la segretaria particolare di un’altra ministra, amica della tua. Mai spendere troppo per i regali. Trovare carte affastellate in un armadio. Nei ministeri tanti vengono a riferire e raccontare e rivelare o a fingere di farlo. Il potere non lavora in chat. Le telefonate non lasciano traccia. E consentono di intendersi con l’intonazione e i silenzi, che la digitazione non ammette. Arpanet inventata negli anni 60. Perché ce lo svelano solo adesso? Ci sono programmi che trascrivono la voce viva o registrata. Davvero? E da quando? Perché i Servizi non ci hanno informati?
Siamo da Barbara d’Urso. Siamo il volto invisibile del potere. Siamo come tu ci voi, siamo come tu ci immagini. Siamo il corpo e il sangue dei tuoi sogni proletari. Siamo paratassi su questo libro scritto con i piedi, dove i personaggi sono credibili – ma per errore – dove troviamo confermato e bollinato tutto quello che sapevamo, dove arriviamo alla fine e ci sentiamo soddisfatti di veder confermato ogni nostro ragionamento – libri che se non fossero stati scritti da zelanti romanzieri li scriverebbe un fantomatico potere orwelliano.
Siamo come tu ci vuoi. Siamo il potere – ma quando il potere non può più niente.

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