Balestrini e i vizi della sinistra extraparlamentare

complotto

 

Qua la normalità è uscire con la pistola. Ma c’è pure gente che magari va in bici e si porta il fucile a tracolla o il rasoio in tasca. Qua il problema dell’arma non esiste, perché comunque quando serve si trova sempre la pistola o il fucile. Insomma, in ogni casa è possibile trovare fucili, pistole, cose del genere. Nei paesi come il mio, il cartello con la classica scritta Benvenuti è sempre pieno di buchi di pistole e fucili. Indica che si tratta di un territorio sotto controllo. Capita che in un gruppo di persone si scherza, ma magari, a un certo punto, uno dice una parola di troppo che a un altro non gli sta bene e questo gli tira uno schiaffo. La volta successiva gli spara. Qui la normalità è uscire con la pistola. E poi, normalmente, si spara anche contro i portoni, le serrande, contro tutto ciò che c’è. Uno che non sopporti, che ti sta antipatico, passi di lì la sera e gli spari.

Qua la corrente non la paga nessuno. Tagli una lastra radiografica, la fai a tante piccole striscioline che infili nel contatore che così non gira. Anche l’acqua, qua, non la paga nessuno. Non sono mai riusciti nemmeno a mettere i contatori. L’immondizia non l’ha mai pagata nessuno. Qua, tutti quelli che nascono senza mezzi, che puzzano di fame per tutta la vita, sono destinati o a trasferirsi al Nord o a cercare la salvezza entrando nell’organizzazione. Se sei una persona istruita, se c’hai la laurea o se comunque c’hai capacità, allora fai truffe, truffi le assicurazioni. Da noi, qua, c’è il crastolino, le denunce false sugli incidenti di macchina. Qua da noi fare la denuncia falsa è come per lo studente che va in giro per esempio in una città tipo Roma o mettiamo Londra, a un certo punto non c’ha più soldi, allora va a fare due giorni il cameriere in un bar. Ti trovi senza soldi, cammini per strada. Che fai. Vedi una pizzeria, un bar, entri, lavori lì due giorni o tre e ti fai quella centomila che ti fa stare a posto per due settimane. Ma qua non c’è un cazzo da fare, quindi fai il crastolino.

Balestrini ricorda ogni tanto che il posto preciso al quale rimandano gli avverbi di luogo usati con generosità è Casal di Principe. Ciononostante questi pro-memoria non possono impedire l’azione deterritorializzante della sineddoche che opera appunto attraverso questi avverbi. Non possono impedire che i «qua», «qui», «lì», «là» disseminati nel racconto rimandino a Nocera, Baronissi, Giffoni, Contursi, anziché a Casal di Principe; che rimandino a Pontecagnano, a Battipaglia, a Sicignano, a Polla, a Atena Lucana – seguendo a ritroso la via percorsa qualche millennio prima dai Sibariti; non possono impedire, insomma, il dispiegarsi di un meccanismo esemplare, tale per cui il «qua» o il «qui» fanno segno a tutta la Campania, o a tutto il Meridione, anche quando è chiaro (statisticamente evidente) che non in tutti i paesi Campani o Napoletani o Meridionali i cartelli di Benvenuti, anche quando sono crivellati, come per esempio in un paese come il mio in Calabria, dicono che il comune è sotto controllo, e nemmeno, quando lo dicono, pretendono di restituire la foto della realtà effettiva.

Questo effetto retorico non solo è inarrestabile, ma senza di esso la lingua non potrebbe funzionare, essendo la lingua regolata da una struttura di rimandi.

Una forzatura totalizzante produce un effetto insopportabile, del quale non bisogna incolpare Balestrini. Anche se in più di un’occasione Balestrini lascia intendere che tutti facciano così, che tutti non paghino la luce, che tutti non paghino la bolletta e che tutti i pezzenti finiscano nell’organizzazione e che i più furbi truffino le assicurazioni e che il lavoro non paghi, soprattutto, che il lavoro non paghi, e che in questi posti qua non può certo nascere un Gandhi o un Che Guevara, ma solo un criminale come Sandokan.

Mio padre è una persona che ha sempre lavorato, è un agricoltore di una famiglia decente, ma si rende conto che i figli, soprattutto io, il figlio maschio più grande, non può seguire la stessa via, cioè fare una vita di lavoro e di fatica – che poi non serve a un cazzo.

Per un povero del sud, per il figlio di una persona per bene che lavora la terra come la lavorava suo padre, l’unica via per emanciparsi è trovare una sistemazione. La sistemazione la trovi o studiando per ottenere un posto, oppure facendo come Sandokan. Anche lui era un povero cristo, figlio di braccianti o muratori, destinato a fare il bracciante o il muratore.

I figli quando entrano nell’organizzazione non è che abbandonano un posto da tre milioni al mese, ferie pagate e contributi, ma semplicemente abbandonano lavori saltuari o molto faticosi o niente. Si diventa Boss, ma si proviene da famiglie disgraziate.

Questi ragazzi si trovano senza un cazzo davanti se non un lavoro faticoso per poche lire e quindi iniziano a fare quello che fanno tutti i ragazzi che non vedono nessuna via d’uscita e che hanno voglia di soldi, iniziano a fare piccole rapine, bar, tabacchi, pompe di benzina, e così mettono su la loro piccola banda di delinquenti di paese. Non vogliono entrare nella schiera dei proletari, e nemmeno far parte dell’aristocrazia operaia. Mettono in piedi le loro piccole bande di paese, bande che diventeranno imperi internazionali.

Quando la moglie di uno di questi piccoli boss di paese va ad Aversa, la città, per dire al vicepreside che suo figlio non può essere bocciato, il vicepreside la manda affanculo. Non si tratta di un atto di coraggio, di una sfida all’organizzazione, il vicepreside guarda questa signora con disprezzo, perché la considera una donna di umili origini, una contadina di un paesino, per giunta, e non la prende neanche in considerazione, non si rende conto con chi ha a che fare, e si comporta con lei come se dovesse scacciare una mosca fastidiosa.

Il professore, il medico condotto, la classe media in genere, l’aristocrazia operaia, il bottegaio, sono loro i nemici, sono la barriera invalicabile tra i pezzenti e il benessere. Sono quella diga che separa le case piccole e a pezzi, dove ci stanno in dieci, dai sogni di grandezza. Sogni ancora non chiari.

Non hanno chiaro subito un grande progetto e la certezza di riuscire. Hanno chiaro che vogliono avere soldi e potere. Vogliono essere rispettati, perché loro sono figli di nessuno, loro sono gente da niente, sono sotto-proletari, sono mariuoli, nemmeno grandi menti criminali, solo crudeli, sadici, cinici, in vendita, sono gente da niente. Per loro diventare i boss della regione è poco, loro vogliono di più, vogliono tutto.

Sono figli di nessuno, sono sottoproletari, dice Balestrini, sono miserabili. E non conta che mentre racconta, sotto i nostri occhi essi diventano macchiette, contrapposte ad altre macchiette che vanno in giro per Roma e Londra a fare i lavapiatti per un giorno intero, come manco in un film di Dennis Hopper. Non contano la statistica e i dati economici che dicono che non tutti rientrano in questa ragioneria spicciola, che contabilizza a muzzo soldi, morti e chili di droga e fatti emblematici.
Più il professore, il medico e l’impiegato parlano con disprezzo di questi miserabili, e ne parlano male non tanto per le loro azioni, ma proprio per le loro origini, più le loro figure assumono una valenza miologica. Chi li disprezza non è la media o la grande borghesia, è il borghesuccio della porta accanto.

Nella zona dove abito io la composizione è questa, famiglie di contadini come la mia, qualche famiglia di commercianti, qualche impiegato e nella strada a fianco c’è un dottore, questo dottore appartiene alle cosiddette persone per bene, sono ricchi, la moglie è insegnante, e hanno due figlie femmine che vengono a scuola con me, e parlano dei muschilli e li definiscono come dei rozzi, degli animali, delle bestie, il rifiuto della società. Gente che è nata pezzente e che il destino ha condannato a morire pezzente. E la pena viene comminata proprio da questi borghesucci, come la Prof delle medie Minimo, la quale, a quelli di Aversa, a quelli che hanno padri avvocati, ingegneri, eccetera, consiglia di fare il liceo classico o lo scientifico, invece, a quelli dei paesi o anche a quelli di Aversa, ma di famiglie povere, consiglia di fare gli istituti tecnici, al massimo istituti tecnici. A me consiglia di fare il geometra, anche se sono migliorato. Mi dice, tu farai benissimo il geometra, cioè, non è che mi dice potresti scegliere tra fare questo o quello, mi dice, tu devi fare la scuola per i geometri, perché questa è fatta per gente come te. Mentre Vittorio Corcione, meno bravo di me, ma il padre ha un negozio Benetton 012 e la madre è insegnante, appartiene a una categoria di persone che può permettersi di andare allo scientifico. Con le ragazze del paese, la Prof Minimo non usa mezzi termini, gli dice che potranno avere la licenza media solo a patto che poi smettano di andare a scuola, che tanto per loro è inutile, devono piuttosto pensare a aiutare in famiglia, e poi sposarsi e servire il marito, glielo dice in classe, davanti a tutti.

Sono scappato. Son scappato dal paese. Sono partito per il Nord. Ho buttato via i vestiti che ancora puzzavano di tutti i morti ammazzati, mi sono fatto portare alla stazione e mi sono detto con rabbia che non sarei più tornato al mio paese.

In questo libricino sulla Camorra e su Casal di Principe ritornano i personaggi estremi preferiti da Balestrini: il lumpen e il grande borghese romantico e bombarolo, il tifoso, eccetera. Torna il sistema binario, strutturalista, semiologico, vagamente nicciano, geopolitico, ridicolo, il cui unico scopo è eliminare il terzo incomodo, il corpo medio, il medico, l’insegnante, il bottegaio.

Che non ci sia riuscito? Che non abbia, infine, vinto?

Nulla da dire sugli epigoni, i quali impiantano sullo stesso schema retorico e semiologico la storiella dell’eterna lotta del bene contro il male e occultano il plusvalore, il capitale, il valore del lavoro e il suo sfruttamento, dunque il comunismo.

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